Matteo Manassero torna a vincere un torneo dell’European Tour e al cronista, rotto da mille avventure, scappa una lacrima. Si sa, con l’andare dell’età capita sempre più e ultimamente, fra la coppa Davis, Sinner e anche il rugby sta capitando spesso. Ma qui la questione è più grande e intensa, e nasce da una conoscenza personale specifica. Il ragazzo di Negrar di Valpolicella (sì, la zona del vino buono) mi era stato decantato da un amico, Mario Camicia, l’unico vero esperto che voleva volgarizzare il golf come me e il mio giornale di allora, senza banalizzarlo. L’avevo ascoltato, l’avevo voluto conoscere da vicino, quel ragazzo prodigio col sorriso aperto e sincero.
BAMBINO PRODIGIO
L’ero andato a prendere a scuola insieme all’appassionata mamma Francesca, avevamo pranzato insieme, mi aveva raccontato che aveva deciso di diventare un golfista già a 3 anni e mezzo, mi aveva fatto da guida a casa sua, a Verona, mostrandomi la cameretta tappezzata coi colori rossoneri dell’amato Milan e i percorsi inventati in salotto coi primi green disegnati da libri, divani e tappeti. L’avevo seguito, sul campo, nei primi successi, precocissimi, mirabolanti. Da quel British Amateur Championships vinto nel 2009 ad appena 16 anni, più giovane di sempre e primo italiano, conquistandosi l’invito ai Majors dei grandi, l’Open Championship e il Masters, facendo scalpore col 13° posto – primo dilettante in gara – a Turnberry e col taglio che superò ad Augusta, più giovane di sempre, a 16 anni 11 mesi 22 giorni, finendo al 36mo posto. Sembrava inarrestabile, a braccetto di Alberto Binaghi – coach, fratello maggiore, caddy -, con quel soprannome, Harry Potter, che gli calzava a pennello per la magica capacità di inventare colpi e gli occhialetti da vista che sfoggiava fuoricampo. Il 24 ottobre 2010 aveva conquistato il titolo al Castellò Masters, ancora con un record di precocità sul Tour, a 17 anni 16 mesi e 5 giorni. A Wentworth, si era guadagnato il “Sir Henry Cotton Rookie of the Year” ricalcando le orme di Faldo, Jacklin, Lyle, Olazabal e Montgomerie. E aveva continuato in una scalata che sembra non avere limiti e proseguiva col secondo titolo European Tour, nell’aprile 2011, a pochi giorni dai 18 anni, quando firmava il Malaysian Open. E quindi, l’11 novembre 2012, faceva festa al Barclays Singapore Open, da primo teenager già 3 volte campione sull’European Tour. Il quarto urrà lo siglava il 26 maggio 2013 al prestigioso BMW PGA Championship sul mitico campo di Wentworth, ancora da più giovane nella storia del torneo e 25mo nel ranking mondiale. Sembrava che di lì a poco avrebbe concretizzato il suo sogno più bello, nel segno dell’idolo di sempre, Severiano Ballesteros, cui somiglia, da sempre facilità, completezza e soprattutto fantasia: “Seve è il giocatore al quale mi sono sempre ispirato per tenacia, creatività e carisma. Vestivo anche come lui nell’ultimo giorno di gara: pantaloni verdi e polo bianca”.
PARALLELO
Nel 2015, proprio quand’ero stato costretto a girare pagina nel mio percorso professionale, anche Matteo, curiosamente, deragliava in parallelo nella sua professione. Ma lui si smarriva proprio, inseguendo la chimera di un drive più lungo, snaturando il suo talento di inventiva e tocco, scivolando nella sfiducia e quindi nella depressione nel 2018, quando chiudeva appena 5 volte fra i top 30 in tutta la stagione. Con conseguente clamorosa, traumatica, esclusione dall’European Tour, oggi DP Tour. “Mi sono sentito vulnerabile. Dopo le prime vittorie avrei dovuto fermarmi e accrescere le basi tecniche e non basarmi sulle sensazioni della gara. Il golf non mente”. A proposito di mente, intesa come sostantivo, come forza mentale, Matteo ha chiesto aiuto al mental-coach Alessandra Verna, prima ancora che ai tecnici di gold Soren Hansen e Roberto Zappa. Così, ripartendo davvero dal basso, con umiltà, forte soprattutto “dell’amore per il golf e della voglia di tornare al livello iniziale”, è ripartito dall’Alps Tour, e nel 2020 ha vinto il Toscana Open, ha salito lo scalino successivo, nel Challenger Tour, e l’anno scorso ha firmato il Copenhagen Open e l’Italian Open a Sutri, riconquistando la “carta” piena per giocare sul DP World Tour 2024. Sognando di qualificarsi all’Olimpiade di Parigi e bissare i Giochi di Rio 2016.
EMOZIONI
In una domenica 10 marzo che sarà difficile da dimenticare per tutti quelli che amano il golf e quindi Matteo Manassero – che è il golf -, la tv mi ha riconsegnato il sorriso giulivo di quel ragazzo di 16 anni di un giorno a Verona. Oggi, dieci anni e dieci mesi dopo l’ultima volta, s’è fatto uomo – il 19 aprile compie 31 anni -, e fa specie pensare che il suo quinto urrà arriva dopo addirittura così tanto tempo. Circostanza non inedita nel golf, anzi, ma che riguarda protagonisti molto più avanti nell’età e senza un passato così eclatante e promettente come quello di Matteo. Del resto stupisce anche che, con questo nuovo successo in Sud Africa, il quinto della sua carriera spezzata drasticamente in due fasi, il primo italico da Migliozzi all’Open di Francia 2022, Manassero diventa in un colpo solo il numero 1 del golf nostrano nel ranking mondiale. Dando forse una nuova, decisiva, scossa alla comitiva azzurra di ben 9 rappresentanti nella stagione DP Tour. Perché le vittorie dell’Harry Potter del golf regalano da sempre qualcosa di diverso: all’epoca, con quel suo spirito sbarazzino, quella facilità irridente dei bambini prodigio e i playoff che annichilivano gli avversari ed esaltavano lui, oggi, con questa storia – unica – della maledizione che sembrava dovesse marchiarlo per sempre e che invece riapre magicamente un capitolo e racconta una storia incredibile.
FREDDEZZA
Qualcuno aveva dimenticato quanto fosse forte Manassero quando il gioco si fa duro. I più ricordavano con mestizia quel suo grido di dolore: “Avevo l’incoscienza dei miei 17-18 anni: era facile vincere, mi veniva naturale e istintivo giocare bene e ottenere risultati. Poi sono iniziati i guai”. Ma, nella quattro giorni del Jonsson Workwear Open di Johannesburg che si giudica con un totale di 262 (68 61 67 66, -26), nella quale non riesce ad esimersi dall’ennesimo record – il miglior giro di sempre sull’European Tour – Matteo ci ricorda che era e chi è sempre. Con la facilità di campioni non solo regge l’urto degli inseguitori nell’ultima giornata che apre a -20, ma decide con 4 birdie consecutive nelle ultime 4 buche. A dispetto di una drammatica, pericolosissima, sospensione per pioggia, quand’aveva appena cominciato la buca 17. E del tramonto che incombeva sempre più minaccioso per il suo sogno più bello e impossibile. Ora, Matteo Massero, decidi tu come continuare questa favola. Sappi, però che il golf tutto e ancor più quello italiano hanno fortissimamente bisogno di te.
Vincenzo Martucci (foto di Claudio Scaccini)