Il primo Major di Sergio Garcia sarebbe stato comunque straordinario, dopo le troppe batoste che il destino gli aveva appioppato, ma scrivere per la prima volta il proprio nome nel libro del Slam proprio al Masters di Augusta e proprio quando il pioniere di Spagna, Seve Ballesteros avrebbe compiuto 60 anni, rende l’evento ancor più indimenticabile. E particolare. E speciale. Così come la soluzione allo spareggio con l’amico Justin Rose. Perché Sergio era l’erede designato di quel meraviglioso e sfortunato fuoriclasse che all’Augusta National aveva trionfato tre volte legnosi indissolubilmente con quello straordinario appuntamento-cardine di questo sport. Mentre lui non era mai riuscito a vincere il diavoletto che è in lui, e a togliersi di dosso risolini di schermo, patetiche pacche sulle spalle e la solita filastrocca: “Il gol è per il 90% mentale e Sergio…”.
Ma stavolta no, stavolta, Sergio l’aveva anche annunciato che avrebbe voluto tanto vincere “per Seve”, che aveva lottato invano contro un tumore al cervello fino al 2011, Seve che era stato il suo eroe e mentore, insieme all’altro fenomeno di Spagna, Olazabal (anche lui campione al Masters, due volte). “Mercoledì sera, Josè Maria mi ha mandato un messaggio dicendomi quanto credesse in me, invitandomi a fare altrettanto, a restare calmo e a impedire che le cose prendessero il sopravvento”. Stavolta, Sergio “il gran perdidor” dei quattro secondi posti nei Major, ha “tante energie positive” attorno a sé, a cominciare dalla fidanzata Angela Akins, ex golfista al college, e da Marty, un ex quarterback All-American della Texas University: “E’ una squadra di gente positiva e piena di fiducia, con tante conoscenze dello sport, che sa incoraggiarmi e darmi forza”.
Stavolta, gli incubi si diradano, fors’anche prima del via, quando il bau bau del passato, Tiger Woods, e il favoritissimo del presente, Dustin Johnson, non si allineano al via. Stavolta, non è come al Pga Championship 1999, il primo che Sergio ha finito al secondo posto. Aveva appena 19 anni, all’ultimo giro, a Medinah, attaccò a viso aperto il Fenomeno, dio del golf mondiale, troppo a viso aperto, troppo sicuro, forse. E sbagliò il birdie all’ultima buca che l’avrebbe portato allo spareggio. Ma lo portò comunque alla Ryder Cup, più giovane di sempre, sulla rampa di lancio di chissà quali trionfi.
Chissà quante volte Sergio ha ripensato alla lunga attesa di un’altra chance, al duello perso sempre con Tiger agli Us Open 2002, a quello ai British Open 2006, e soprattutto al suicidio al British Open 2007, quando comandò fino all’ultima buca dell’ultimo giro a Carnoustie, ma scivolò in un tragico bogey, finì al playoff, e alla prima buca extra incappò in un altro bogey, dovendo accontentarsi di un altro secondo posto. Ancor più bruciante del primo.
Lui sa, sente che il talento nel drive e nell’approccio è un alleato troppo prezioso. Lo ha sempre saputo, lo ha sempre sentito. Ma non è riuscito mai a venire a patti coi blackout nel putt. E così è drammatico l’epilogo dei PGA championship 2008, quando si mangiò il vantaggio alle tre ultime buche, e dovette fare ancora buon viso a cattivo gioco davanti ad un’altra delle sue bestie nere, Padraig Harrington: “Sto bene, è stato peggio l’anno scorso quando mi sono mangiato la vittoria nelle seconde nove…”. Parole che gli sono sicuramente tornate in testa domenica ad Augusta, quand’ha detto, invece: “Non mi sono mai sentito così calmo come nelle seconde nove”!”.
Al Pga fu durissima, al British Open 2014, quando inciampò in un altro bogey quand’era all’inseguimento di McIlroy, finì secondo per la quarta volta in un Major, fu ancor più terribile, forse, perché aveva sperperato l’arma dell’esperienza contro un avversario ancora imberbe.
Di delusione in delusione, Sergio è uscito di scena, ci è tornato, non si è fatto una bella fama. Sul green, ai Players Championship 2013, quand’era in testa a pari merito, mandò tre palle in acqua alla 17 e alla 18, segnando un ridicolo quadruplo boghe e doppio bogey, e finendo ottavo. E fuori dal campo, quando litigò con Tiger Woods, e poi gli rivolse pubblicamente frasi che suonavano razziste al punto da doverle ritirare pubblicamente, con tante scuse e l’etichetta ancor più negativa di “eterno secondo che rosica”. Macchiando così i 31 tornei vinti giocando sia il Pga che l’European Tour, il secondo posto nella classifica mondiale, i “top ten” dov’ha albergato per 300 settimane fra il 2000 e il 2009 (oggi è tornato 11), e gli oltre 30 milioni di dollari di soli premi ufficiali.
Ma stavolta no, stavolta al Masters 2017, il destino ha deciso di dargli una mano, proprio nel nome del mitico Severiano Ballesteros, il campione bravo, simpatico ed elegante che tutti rimpiangono. E proprio con un finale-thrilling, da golf, da Garcia.… Lo spagnolo e l’inglese Justin Rose hanno iniziato il quarto giro appaiati in testa alla classifica, si sono sorpassati e si sono ripresi e, dalla 14, si sono dati battaglia a colpi di birdie e di eagle, riappaiandosi alla 17, e sbagliando tutti e due l’ultimo putt, e chiudendo con 9 colpi sotto il par. Stavolta non poteva finire con Garcia sconfitto, stavolta, nella buca di spareggio alla 18, il drive di Justin è finito a destra, mentre Sergio ha chiuso con un fantastico birdie, per prendersi un doppio riscatto. Avesse chiuso il putt alla 72 non si sarebbe ritrovato nella situazione psicologica peggiore, dopo le brutte esperienze del passato. Peraltro contro il talento finissimo come l’inglese Justin Rose, compagno di Ryder Cup, che punta a diventare il primo europeo a vincere Us Open e Masters, oltre all’oro olimpico. Stavolta, lo spagnolo, che sembra e parla un americano, doveva avere la possibilità di dissolvere i suoi fantasmi aggiudicandosi la prima buca di spareggio. Così, a 37 anni, dopo 73 Major, con 22 “top dieci”, 12 “top cinque”, “6 top tre”, e 4 “top due”, si è infilato la prima giacca verde dell’eternità golfista e sportiva. Cancellando la frustrazione del 75 nel terzo giro rimediato cinque anni fa su questo stesso campo: “Mi prende la frustrazione, non accetto le cose come dovrei, e anche se ho dimostrato a me stesso non una ma più volte che posso competere al vertice, alla fine devo ammettere che non sono abbastanza bravo, non ho quello che mi serve. Sono arrivato alla conclusione che posso competere solo per il secondo e per il terzo posto”.
Viva lo sport che dà sempre un’altra possibilità.
Vincenzo Martucci