“Gli conviene tornare col vecchio team”. Chris Evert l’aveva buttata lì, su Twitter, fra i tanti temi tennistici di cui disquisisce, da ex numero 1 del mondo e regina Slam, da signora della terra rossa e titolare di una Academy, con qualche digressione anche sul golf, dove aveva trovato anche un marito, il famoso Greg Norman, anche se l’unione era durata appena 15 mesi. Malgrado Novak Djokovic navighi spesso sul web e conosca tutti gli strumenti social, è difficile che abbia ascoltato proprio il suggerimento della mitica Chrissie. Ma deve aver fatto gli stessi ragionamenti. Almeno in parte. Perché il super-coach Boris Becker, che nell’ultimo weekend fungeva da direttore tecnico/motivatore della nazionale tedesca di Coppa Davis a Valencia, non è ancora rientrato in squadra. E se avesse ricevuto un pur timido aggancio da parte di Djokovic non avrebbe sicuramente tardato ad annunciarlo, enfaticamente, sbandierandolo ai quattro venti. Intanto, lo Sportinovosky, sempre ben informato sulle cose del campione serbo, mostra al mondo il campione di 12 Slam, caduto clamorosamente in crisi, mentre si allena a Marbella per la stagione sulla terra rossa europea insieme all’ex pro Marian Vajda. Che è stato il suo coach storico, dal giugno 2006 al maggio 2017. E l’ha quindi accompagnato nei suoi momenti migliori, prima che Nole decidesse di cambiare totalmente squadra. Perdendosi subito dopo, perché scarico emotivamente dopo i grandi sforzi per vincere Parigi e scalzare Federer e Nadal, per motivi personali, per problemi fisici, magari per tutti questi fattori insieme, ma smarrendo comunque la sua proverbiale sicurezza. Fino al punto di ricorrere all’aiuto del guru Pepe Imaz, e quindi al doppio coach Radek Stepanek ed Andre Agassi, da cui si è già separato. Con i due che sostengono che l’accordo è naufragato per incomprensioni tecniche, perché Novak è voluto rientrare troppo in fretta dall’infortunio al gomito, mentre voci vicine al campione suggeriscono piuttosto che Nole non abbia trovato assolute dedizione, applicazione ed affetto, cui era stato abituato proprio dal gruppo che era incentrato su Vajda. E di cui facevano parte anche il preparatore atletico Gebhard Phil Gritsch ed il fisioterapista Miljan Amanovic.
Un ritorno alle radici potrebbe essere l’ulteriore e più semplice e ovvio tentativo di Djokovic di recuperare la forma degli antichi splendori quando dominava il tennis mondiale. Non tantissimo tempo fa, appena nel 2016, quando ha vinto Australian Open, Indian Wells, Miami, Madrid, Roland Garros e Toronto ed è andato in finale agli Us Open e al Masters. Ma poi, dall’alba del 2017, dopo aver conquistato Doha, s’è eclissato.
Che succederà con questo ritorno al futuro?
di Vincenzo Martucci
(tratto dal sito www.federtennis.it)
foto di archivio