Andrea Gaudenzi, nuovo chairman dell’ATP, l’organizzazione che gestisce il circuito dei tennisti professionisti al di fuori dei quattro Slam e della coppa Davis fotografa il tennis al tempo del corona virus. Da Faenza a Vienna, da Montecarlo a Londra, da ex numero 18 del mondo a sindacalista a imprenditore a faro, dal 24 ottobre, del nuovo corso nel mare magnum di dissidi fra le varie anime delle racchette, a cominciare dai tre grandi, Roger Federer, Rafa Nadal e Novak Djokovic, schierati su posizioni politiche diverse.
Gaudenzi, il tennis quando ripartirà?
“Difficile dirlo, continuiamo a fare e rifare una bozza di calendario: ora come ora stiamo lavorando sull’ipotesi di quattro settimane sulla terra battuta dopo gli US Open. Se giochiamo quest’estate negli Stati Uniti, poi ci sarebbe la terra rossa e quindi gli indoor in Asia con le finali ATP a Londra. Questa sarebbe l’ipotesi migliore: con sette Masters 1000 e tre Slam su quattro, avremmo salvato l’80% dei tornei e dei punti in classifica dei giocatori. Se salta New York dovremmo giocare anche novembre e dicembre. Oggi siamo focalizzati su un rientro subito dopo Wimbledon. L’unica cosa che sappiamo veramente è che nel mondo esiste tanta ansia e poche risposte e ci sono problemi ben più importanti da risolvere dei tornei di tennis”.
Il tennis viaggia molto, non è solo giocatori, ma allenatori, fisio, arbitri, manager, parenti amici che si muovono tutti insieme a ogni torneo…
“In un “combined” (10 giorni di partite con uomini e donne insieme) parliamo anche di 2-3000 persone e di uno sport globale. Stiamo valutando anche formati diversi di tornei in caso di forti restrizioni sui viaggi: dobbiamo pensare di giocare a parte chiuse e a uno sport regionale, anche se faremmo un passo indietro, dobbiamo pensare ai riflessi sui tabelloni e sulle classifiche perché non potremmo garantire la presenza dei migliori, dovendo salvaguardare anche i giocatori di classifica inferiore. Anche per gli aiuti finanziari, prima ci occuperemo dei Challenger e degli ATP 250, dei giocatori fra il numero 250 e 500, che hanno più bisogno”.
Paradossalmente questo stop può aiutare il rilancio del tennis.
“Dobbiamo approfittarne per guardarci dentro e guardare più avanti a lungo termine, al futuro del nostro sport. Da questa crisi possono nascere opportunità enormi, a cominciare dallo spirito di collaborazione fra ATP, WTA, ITF e tornei dello Slam: facciamo tutti parte di uno sport solo, ci rivolgiamo agli stessi fan, facciamo parte di una storia che raccontiamo insieme. L’idea è di aggregare il più possibile”
Qual è la visione del suo mandato?
“Secondo me il tennis non sta esprimendo il potenziale a cui può ambire: siamo uno sport sano, solido come business, bello da guardare e da giocare, ma se lo paragoniamo agli altri grandi sport come diritti TV, rappresentiamo meno dell’1,2% dei diritti totali. A fronte di un miliardo di fan, come “top 5″ come audience sia maschile che femminile, 50% uomini e donne, mentre altri sport sono uomo-centrici. Possiamo passare i prossimi anni a litigare sulle briciole ma di là c’è un mondo”.
Le parole chiave del curriculum professionale di Gaudenzi, e del tennis di domani, sono tecnologia e digitale.
“I nostri competitor non sono soltanto gli altri sport, ma tutte le piattaforme di entertainment: oggi competi con il tempo, il portafoglio e l’attenzione della gente, una scelta che va dalle serie di Netflix alla musica, dal calcio al tennis. Finora siamo andati bene, ma il mondo sta cambiando: passiamo da un mondo di “linear broadcasting” – le trasmissioni lineari nei canali tradizionali – a quelle on-demand di molte piattaforme d’intrattenimento, a un mondo digitale con opportunità enormi col “direct to consumer”. Che può farci superare i limiti tradizionali del nostro sport: non sai quando una partita comincia, quanto dura, fino al giorno prima non sai neppure chi gioca”.
Trasparenza e fiducia sono difficili da declinare per le anime del tennis.
“Dobbiamo capire che abbiamo bisogno sia dei tornei che dei giocatori. Ma soprattutto dobbiamo servire in modo diverso e dobbiamo conoscere meglio i nostri fan: oggi devi avere 3-4 abbonamenti per guardare il tennis, in ogni paese è diverso ed è tutto frammentato, è contro ogni logica commerciale e i dati dei milioni di fan che comprano i biglietti sono sparsi fra federazioni e tornei, non sono centralizzati”.
La decisione del Roland Garros di spostare il torneo da fine maggio a fine settembre non va in questa direzione.
“La decisione del Roland Garros ha confermato che il tennis ha bisogno di più regole e di trovare il modo di coesistere non solo nel calendario. I francesi sono andati in panico e hanno pensato di dover piazzare la loro bandiera a settembre e poi vedere cosa succede. C’è stata discussione al vertice con le altre sigle, loro hanno fatto un passo indietro e stiamo discutendo tutti insieme”.
La nuova ATP Cup fa concorrenza alla nuova Davis Cup: le due gare a squadre per nazioni si possono unificare?
“Un evento solo sarebbe la soluzione migliore, ma non è facile, con contratti pluriennali già firmati. Cosa è meglio per il tennis? L’ATP Cup è stato un evento di successo, bello, ci sono andato. Io sono molto attaccato alla coppa Davis, alla tradizione, alla nostra storia. Ma è anche bello e importante avere un grosso evento nella prima settimana dell’anno, per partire con un boom, poi una settimana di pausa e il primo Slam dell’anno agli Australian Open. Ci sono problemi più grossi, se non lo risolveremo andremo avanti così”.
In un panorama così nebuloso gli Internazionali d’Italia di Roma del 10-17 maggio restano ancor più nel limbo. Magari si agganceranno al Roland Garros (la settima a prima o quella dopo), magari rispunteranno a novembre a Milano, indoor. Di sicuro, non sono ancora cancellati. Domani sarà.
(Tratto da primaonline.it)