Per noi della Gazzetta che abbiamo seguito professionalmente l’evoluzione dell’atletica italiana attraverso i periodi piu’ bui sia a livello di immagine (simbolo il caso Evangelisti di Roma 87, tanto tempo fa) che di risultati (simbolo lo zero assoluto di Rio 2016, neanche tanto tempo fa) quello che sta succedendo in questi giorni agli Europei di Roma rappresenta una specie di catarsi. Una gioia che apre il cuore. Erroneamente viene indicato come punto di svolta il miracolo dei cinque ori di Tokyo 2021 ma come ha spiegato il capitano Gimbo Tamberi il cambiamento è cominciato un po’ prima e, almeno temporalmente, possiamo farlo risalire in un lasso di tempo racchiuso fra l’insediamento di Antonio La Torre come ct (fine 2018) e quello del presidente Stefano Mei (gennaio 2021) che ha avuto (almeno) il merito di togliere le briglie alla rivoluzione tecnica.
Sta di fatto che la marcia di questa nuova Italia verso una egemonia continentale, francamente impensabile fino a pochi anni fa, non conosce ostacoli e sta bruciando tutti i traguardi. Agli Europei in corso a Roma, che pagano in minima parte in termine di valori il fatto di disputarsi nell’anno olimpico, dopo tre giornate abbiamo già bruciato il massimo storico di medaglie raggiunto a Spalato ‘90 (12) e viaggiamo verso i venti podi che alla vigilia nessuno, neanche il piu’ ottimista dei presidenti federali, aveva osato pronosticare. Sempre l’acutissimo Tamberi in zona mista dopo la qualificazione dell’alto, ha sottolineato gli aspetti positivi (il clima sereno in squadra, lo spirito di emulazione, la consapevolezza nei propri mezzi mancata fino all’era precedente) ma anche l’unico problema: il ‘percepito’.
Come hanno dimostrato i larghi vuoti sugli spalti dell’Olimpico, dovuti anche a una sopravvalutazione del costo da apporre ai biglietti, è come se fino a Roma 2024 l’Italia non si fosse ancora accorta del valore dell’atletica italiana. Chi non mangia pane e atletica era rimasto a Jacobs e Tamberi ma non si era accorto che attorno ai due leader di Tokyo, erano fioriti fenomeni atletici e mediatici quasi alla stessa altezza: Furliani, Simonelli, Ali, Battocletti, Fabbri, Dosso, Crippa giusto per fare qualche nome. E dietro fin dalle categorie giovanili si fanno strada fenomeni destinati a raggiungere traguardi altrettanto importanti: Sito (rivelazione della rassegna) o la Doualla che è la più forte quindicenne al mondo nello sprint. Su queste pagine non leggerete nessuna parola sulle origini di questi atleti perché cavalcare la cultura degli extracomunitari (in un senso o nell’altro) fa solo male alla cultura di ognuno di noi. E anche perché vi invitiamo a scoprire dai cognomi da quale parte del mondo arrivano: cognomi esotici celano ragazzi nati in Italia, cognomi italiani al contrario svelano atketi di provenienza estera. A dimostrazione che non ci sono più differenze.
AMMIRAZIONE
Mi ha fatto un certo effetto in questi giorni tornare nella zona mista dell’Olimpico dove si incrociano gli atleti di tutta Europa dopo le medaglie. Nell’87 ai Mondiali, vivendo praticamente li, mi ero fatto una lunga passeggiata nei corridoi dell’Olimpico con un esterefatto Giovanni Evangelisti (guardandolo negli occhi mi ero accorto che qualcosa non andava) che è stato magicamente evocato dall’8,38 di Mattia Furliani che è la stessa misura del salto fantasma che “distrusse” l’immagine dell’atletica italiana. Atleticamente noi italiani eravamo fra gli ultimi della pista, invece siamo tornati all’Olimpico da leader e me ne sono accorto quando un gentile collega tedesco poliglotta, Johanne Fischer di Sport1 GnbH, è venuto a intervistarmi per conoscere il “segreto del miracolo italiano”. Prima guardavamo gli altri, ora gli altri guardano noi.
IL SEGRETO
La verità è che il segreto non lo sappiamo neanche noi, a parte le tante ipotesi che possiamo fare. Personalmente, oltre al clima goliardico ma concreto che ha saputo creare un presidente federale ex atleta, ritengo che alla base ci sia un know how tecnico che è stato finalmente ‘liberato’ dai legacci culturali ma anche di chi non cava fiducia ai tecnici. Ma potrei sbagliare. Di fatto siamo leader europei della marcia, della velocità e degli ostacoli alti maschili, ce la battiamo nel mezzofondo veloce (dove avevamo scavato gli abissi) e prolungato, primeggiamo in tutti in molti salti (lungo maschile e femminile) e ci difendiamo finanche nelle prove multiple. Arranchiamo, a parte il peso maschile e il martello femminile, solo nei lanci dove si paga il mancato accentramento tecnico e, come ha sapientemente analizzato la martellista Sara Fantini, paghiamo lo stereotipo femminile della ‘donna lanciatrice che mette su troppi muscoli’. Ma recupereremo anche lì.
FUTURO
Con questi Europei casalinghi entrati nelle case di tutti gli italiani grazie alla seconda rete Rai (senza sottovalutare l’apporto di Sky) l’Italia ha recuperato un’immagine che sa di occasione perduta: se il “percepito” fosse arrivato prima alla platea o se ci fossero stati i programmati Mondiali l’atletica avrebbe potuto raccogliere concretamente i frutti di questa sana politica tecnica e federale. Invece dopo Roma ci sarà l’Olimpiade di Parigi (ma solo in tv), il Golden Gala e il nuovo meeting di Brescia (casa Jacobs) per fare “cassa” almeno in termini di popolarità. Certo, calcio a parte, anche il tennis è in un’altra dimensione anche per una più facile fruizione (come è difficile seguire l’atletica nella sua globalità,) ma un Jacobs vincente può riaccorciare le distanze e minacciare anche Sinner. O no?
Fausto Narducci (foto tratta da X profila ufficiale Team Italia)