Il Masters giovani di Milano conferma appieno le previsioni portando in finale, pur a fatica, i due under 21 più maturi di tennis, di testa, di fisico e anche di classifica, Stefano Tsitsipas ed Alex De Minaur. Una volta che i due più precoci, Sascha Zverev e Denis Shapovalov si sono chiamati fuori, con l’avallo dell’Atp, dando un’ulteriore conferma della debolezza dell’organizzazione che gestisce il circuito stagionale dei tornei e che, senza appena sfumeranno le super-star Federer & Nadal, mostrerà tutte le sue pecche di comunicazione e promozione.
Le conferme alle seconde Next Gen Finals italiane sono state tante, nell’enorme padiglione 1 della Fiera di Rho che non piace come atmosfera ma è perfettamente in linea con i dettami moderni dell’organizzazione sportiva mondiale. E, comunque, per colpa degli ignavi politici locali e nazionali, è l’unica casa possibile, a Milano, dal 1985, quando è crollato il palasport di San Siro. Liam Caruana ha confermato, nel tempo, la forza e la determinazione degli italo-americani, superando le qualificazioni dei giovani “ne noartri” contro bracci tennistici più capaci (Brancaccio e Pellegrino fra tutti), riallacciando vecchie rivalità coi compagni di merende Taylor “faccia d’angelo” Fritz e l’ultima speranza afroamericana, Frances Tiafoe. I due yankee hanno confermato a loro volta i propri limiti: di fantasia e cattiveria agonistica, il primo, picchiatore senza una trama, e di attenzione, il secondo, con anche qualche limite atletico che affiora qua e là. Così come il Hubert Hurkacz, emerso dall’universo Challenger, è per ora soltanto un gran battitore, figlio legittimo ma prevedibile del tennis Basic, servizio-dritto. Jaume Munar allievo – non l’erede, per carità – di Rafa Nadal, merita gli applausi per come ha venduto cara la pelle, Per le gambe, per l’attitudine, per il bagaglio tecnico senza buchi neri ma, come previsto, ha incontrato il rispetto ma alcun segno indelebile negli occhi dei giovani spettatori della Fiera.
Molto di più ha colpito il diavolo rosso Andrey Rublev, l’unico veramente bocciato dalle prime Next Gen Finals di un anno fa che, complice l’ennesimo infortunio a quel suo fisico delicato sovraccarico di forza veloce, ha mostrato esattamente le medesime qualità e gli stessi limiti di dodici mesi fa. A cominciare dalla medesima testardaggine, la medesima cattiva disposizione verso le regole del Masters giovani, la medesima disattenzione verso il suo coach, Fernando Vicente, che l’allena a Barcellona insieme all’altro pro Galo Blanco, ottenendo finora più soddisfazioni dall’altro allievo, l’ennesimo picchiatore russo, Karen Khachanov. Chissà se Rublev, che somiglia tanto al mitico ballerino Nureyev, otterrà un po’ di tregua dagli infortuni e potrà trovare continuità, e, quindi serenità e fiducia. Oggi è ancora un esaltante puledro che può correre imprendibile e poi imbizzarrirsi o puntare di botto le zampe e non andare più avanti, schiavo della sua natura troppo focosa, troppo alla “o la va o la spacca”. Con evidenti limiti di spostamenti.
Tsitsipas e De Minaur sono stati giustamente premiati dall’Atp come il Most improved e il Newcomer dell’anno, come fotografa il salto in classifica da gennaio in qua, dal 91 a 15 il greco, da 208 a 31 l’australiano. Ora passano il testimone al Masters dei grandi. Che si disputa alla O2 Arena di Londra, hangar più grande e più maestoso del teatro delle Next Gen Finals, ma pur sempre hangar e pur sempre lontano dal centro di Londra come Rho da Milano, e raggiungibile con un’oretta di viaggio in metropolitana. Anche qui le assenze fra i Magnifici 8 sono due, ma non per stanchezza o snobismo, come per Shapovalov e Zverev, bensì per infortunio – altra conferma -, di due guerrieri come Rafa Nadal e Juan Martin Del Potro.
Non ci sono sorprese. Nishikori e Djokovic erano lontani, come risultati e punti in classifica, ad inizio stagione, ma avevano già dimostrato di valere il Masters e, ampiamente, i “top 5”. Così come i grandi battitori Cilic, Anderson e Isner, e l’ultimo bum-bum Thiem. Persino Zverev non è una novità perché già dodici mesi fa si era qualificato alla più importante e qualificata passerella di fine stagione. L’unico che ancora una volta può sorprendere è Roger Federer, che ha appena sprintato col successo nella sua Basilea e con la miglior partita dell’anno, nella finale di Parigi Bercy, pur persa di un soffio, contro il redivivo Djokovic, di nuovo “cannibale” e favorito a Londra per una sesta affermazione.
Federer il Magnifico nicchia, si autoincensa per un’altra stagione importante, con quattro titoli fra cui spicca il ventesimo Slam, agli Australian Open, ma sa benissimo che il tennis gli chiede l’ennesimo record: il settimo urrà al Masters, gara dove non scrive il suo nome dal 2011 (due finali perse con Novak, un’altra senza nemmeno giocarla, per la schiena a pezzi), e quindi il titolo numero 100. Che non sarebbe record, ma sarebbe un simbolo comunque importante, un’altra tacca fra gli indimenticabili dello sport tutto. I 109 tornei conquistati da Jimmy Connors rimarrebbero lontani, ma un nuovo acuto dello svizzero delle meraviglie aprirebbe la finestra verso l’ennesimo sogno. Aggiudicandosi il Super 8 di Londra, addirittura a 37 anni, aprirebbe un altro sprazzo di luce in un tennis sempre più uguale a se stesso, monotono, spersonalizzato, freddo, noioso. Ancor di più nelle rapide condizioni tecniche indoor.
Salvaci, Roger!