Non ci sono mai dopo un suicidio le risposte che vorremmo avere. C’è sempre un alone di mistero che la vittima porta con sé. Mistero che si in infittisce nel caso di Maura Viceconte che a 51 anni ha deciso di togliersi la vita impiccandosi nella sua casa in Val Susa. Perché una donna che era riuscita a combattere e a vincere contro un tumore al seno diventando un esempio per molte altre donne non riusciva più a sopportare la sua esistenza? Aveva un figlio, gente che le voleva bene, cosa l’ha turbata a tal punto?
L’animo umano è sempre un labirinto complesso in cui è impossibile fare piena luce, ci sono meandri che forse neppure il protagonista sa capire e raccontare, ma c’è sempre una luce in fondo al tunnel, quella speranza, a volte irrazionale, che ti spinge ad andare avanti, che ti aiuta a sopportare tutta la negatività della vita. Ma per Maura evidentemente questa luce si era spenta. Non si sa quando.
La Viceconte era stata un grande atleta, buona in pista e ottima sulla maratona, tanto da riuscire a cancellare il primato italiano di Laura Fogli, la romagnola che aveva fatto capire all’Italia e agli italiani che una distanza massacrante come la maratona poteva essere declinata anche al femminile. Aveva scoperto a fine carriera di avere un tumore al seno contro cui aveva lottato pubblicamente e vinto, lanciando un messaggio forte alle altre donne alle prese con lo stesso nemico. Era anche tornata alle gare per dimostrare che tutto era risolto e ci aveva convinto.
Da fuori sembra che chi sia riuscito ad emergere nello sport sia più forte, che abbia imparato nella competizione lezioni che poi può traslare nella vita quotidiana. Ed invece forse è più debole. Perché lo sport è una metafora della vita. Vincere anche a livello assoluto sembra difficilissimo ed invece a volte è niente contro le avversità quotidiane che un comune mortale può incontrare nella quotidianità. E quando i riflettori si spengono molti campioni non riescono ad adattarsi all’esistenza che li aspetta. Basta onori e privilegi, ragazzi che incroci per strada che non erano ancora nati al tempo delle tue imprese che neppure ti riconoscono. Sì, deve essere dura anche se lo sport ti ha reso ricco, ti ha fatto vivere esperienze ed emozioni che pochi mortali hanno provato.
Puoi avere un gran conto in banca ma anche un senso di vuoto nell’anima che niente e nessuno riescono a riempire. Quanti disadattati ha creato e crea lo sport professionistico? Se ne contano a decine di migliaia. Depressioni a volte sfociate nella droga o nell’alcol. No, è impossibile capire da fuori. Impossibile capire perché una donna con una grande storia alle spalle in una anonima domenica di febbraio abbia deciso di impiccarsi nella solitudine della sua casa.