Tanto tuonò che piovve. Dopo tante proteste e minacce e denunce, proprio il giorno della Festa della Donna, le cinque giocatrici più forti della nazionale campione del mondo che fra tre mesi difendono il titolo, hanno fatto causa a nome delle 28 compagne di squadra alla Federcalcio degli Stati Uniti per “istituzionalizzata discriminazione sessuale”. Guidano la rivolta le superstar Hope Solo, Megan Rapinoe, Carli Lloyd, Becky Sauerbrunn e Alex Morgan, che contestano la stridente differenza di trattamento economico dei colleghi uomini.
Molto meno vincenti, eppure retribuiti il 40 per cento in più. Il premio individuale per le giocatrici della nazionale è 99mila dollari se vincono almeno 20 amichevoli (niente bonus se superano questa soglia), con una retribuzione quindi di 5000 dollari a partita vinta, mentre per gli uomini la cifra sale a 263mila dollari – più di 13mila per ogni successo – con in più un garantito di 100mila a testa e un extra di 5-17mila dollari dalla ventunesima partita disputata in poi.
La questione va avanti da anni. Dopo che invano le ragazze si erano rivolte tre anni fa alla Equal Employment Opportunity Commission. “Siamo le migliori, abbiamo vinto tanto, ma la nazionale maschile viene pagata molto di più”, dichiarava già prima dell’Olimpade di Rio 2016 il portiere, Hope Solo. Portando alla luce l’eclatante disparità di retribuzione per spiegare la pubblica denuncia con un comunicato: “Siamo state noi il motore di questo sport che è finalmente decollato negli Stati Uniti”.
Impossibile dar loro torto. Mia Hamm è ancora per molti il simbolo del soccer Usa, uomini compresi. I 90.185 spettatori della finale dei Mondiali del 1999 contro la Cina rappresentano tuttora il record per questo sport in America. Così come i 25 milioni di telespettatori per la trionfale finale dei Mondiali 2015. Ed è proprio da quell’anno, esattamente dal 4 febbraio, che oggi le pioniere del calcio negli Stati Uniti chiedono giustizia nella causa arcimilionaria che hanno intentato alla corte distrettuale di Los Angeles contro la USSF (United States Soccer Federation).
Con tanto di risarcimento danni per tutte le giocatrici che hanno vestito la maglia della nazionale e il chiaro obiettivo di sfruttare la sentenza per dividere la torta anche delle sponsorizzazioni e dei diritti televisivi. In considerazione del +20 milioni di dollari nei ricavi dell’ultimo anno della Federcalcio Usa.
L’aggravante della causa e della richiesta di arretrati è la continua, inascoltata, protesta negli anni. A cominciare da quella, clamorosa, della stella Alexandra Patricia Morgan Carrasco – la popolare Alex Morgan – attaccante dell’Orlando già nel 2016 i microfoni della NBC: “Ogni singolo giorno lavoriamo e facciano sacrifici esattamente come gli uomini. Resistiamo allo stesso livello sia di fisico che di testa. I nostri tifosi ci dimostrano continuamente quanto ci apprezzano. Come ci hanno confermato anche ai Mondiali. Perciò, davvero, chiediamo, e insistiamo, perché la nostra federazione, che il nostro datore di lavoro aumenti e apprezzi anche noi”.
Nell’aprile del 2017, dopo l’oro olimpico conquistato dalle ragazze a stelle americane, le parti avevano raggiunto un accordo complessivo quinquennale, ma le differenze di trattamento economico uomo-donna erano rimaste talmente clamorose da alimentare il malcontento.
Ecco quindi l’ultima, clamorosa, reazione, appena tre giorni dopo che la nazionale donne si è assicurata il secondo posto nella SheBelieves Cup, grazie all’1-0 sul Brasile. «Per anni, siamo state pazienti nella speranza che la federazione avrebbe fatto la cosa giusta retribuendoci nel modo che meritavamo. Invano”, attacca l’ultimo Pallone d’Oro, Carly Lloyd. A nome della nazionale numero 1 del mondo per dieci degli ultimi undici anni.
*articolo ripreso da agi.it