Russell Westbrook ha superato Oscar Robertson battendo un record che resisteva da 55 anni. La guardia degli Oklahoma City Thunder ha realizzato 50 punti con 16 rimbalzi e 10 assist nel successo che ha negato i playoff per l’ennesima stagione ai Denver Nuggets di Danilo Gallinari, ottenendo la 42a tripla-doppia stagionale e superando il primato di 41 di Big O della stagione 1961-62. Piccolo glossario: tripla doppia significa aver superato quota 10 (double digit o doppia cifra) in tre voci statistiche positive, generalmente punti, rimbalzi e assist, ma possono contare anche le palle recuperate (non, ovviamente, quelle perse) e le stoppate. Nella storia della Nba, solo 4 volte è riuscita a un giocatore la quadrupla doppia, la quintupla mai a nessuno… Russell Westbrook è un play-guardia di 28 anni, alta 1.91, scelta nel 2008 e che da allora gioca nei Thunder. E’ il miglior realizzatore della Nba a 31.9 punti di media: giocatore dall’energia e la personalità straordinaria, è stato spesso criticato per le forzature da tre punti e le palle perse ma, nell’anno in cui Kevin Durant ha lasciato OKC per Golden State, ha portato i Thunder ugualmente ai playoff con delle prestazioni straordinarie. Oscar Robertson, oggi 78enne, è stato uno dei più grandi giocatori della storia Nba e il primo prototipo di playmaker modernissimo, un regista alto 1.96 e fisicamente potente, capace di dominare ogni aspetto del gioco. Questo negli anni Sessanta. E’ riuscito a vincere il titolo Nba nel 1971 con i Milwaukee Bucks al fianco di un giovanissimo Lew Alcindor, cioè Kareem Abdul Jabbar.
La prestazione di Westbrook contro Denver probabilmente sarà la spinta decisiva per fargli vincere il titolo di Mvp della stagione. Il Most Valuable Player è il giocatore che contribuisce maggiormente al successo della propria squadra, e non il più forte in assoluto di un campionato, come ormai è in uso pensare soprattutto da noi. Che senza Westbrook, OKC non sarebbe neppure arrivata ai playoff, è un dato di fatto, anche statistico (c’è una cervellotica formula che non vi spieghiamo che calcola il valore di un giocatore rispetto a cosa combina chi lo sostituisce, il “Value over replacement player”, che lo vede stravincere a mani basse). Ma il suo grande avversario nella corsa all’Mvp, cioè James Harden degli Houston Rockets, ha fatto sapere, pur nel grande rispetto di Westbrook del quale è stato anche compagno di squadra, che per assegnare questo premio, le vittorie della squadra dovrebbero essere una variabile decisiva. E se Harden è “solo” il secondo per punti realizzati (29.3) e triple doppie, è pur sempre il re degli assist e ha portato Houston a 54 successi, mentre sto scrivendo, contro le 46 dei Thunder. Ben 13 più della passata stagione. Ma qui il merito va anche a Mike D’Antoni che li allena.
Il titolo di Mvp è molto sentito negli Stati Uniti, sarà assegnato il 26 aprile perché riguarda solo la stagione regolare. Gli exit poll attuali dicono Westbrook, Harden, LeBron James a distanza, anche perché i suoi Cavs sono un po’ come Milano, resistono in testa ma stanno giocando proprio male e hanno perso ben 29 partite. Poi c’è il silenzioso Kawhi Leonard, di San Antonio, giocatore straordinario ma con una personalità e in un sistema che sì gli ha dato le chiavi della squadra, ma non in modo totale come alle tre stelle che lo precedono.
Come sempre mi è accaduto, non riesco a guardare il mondo americano senza fare paragoni col nostro. Domanda: chi è l’Mvp del nostro campionato? Risposta: boh! Premessa: inutile cercare nelle statistiche perché da noi non esistono stelle dominanti e così sostenute da una intera squadra. E certe performance, tipo le triple doppie, sono quasi impossibili perché le gare sono più corte, i giocatori restano in campo meno e c’è ancora qualche ritrosia nel calcolare assist un semplice passaggio a un compagno che poi realizza, come succede negli Usa. Ci sono solo due giocatori in doppia doppia stagionale, Jarrod Jones di Pesaro, con 19.3 punti e 10 rimbalzi di media, e O.D. Anosike di Varese con 10.1 e 11.1 rimbalzi. Due club di bassa classifica che, per definizione, non possono esprimere un Mvp. Lo stesso vale per gran parte dei migliori realizzatori della serie A, a partire dell’eccellente Marcus Landry di Brescia, il top scorer ma che deve ancora guadagnarsi i playoff. E vi viene in mente, tra le prime, uno che abbia realmente segnato in positivo la stagione come un Westbrook o un Harden? A Milano no di sicuro, ma anche a Venezia, Avellino, Reggio Emilia, Sassari, Trento. Probabilmente Bruno Fitipaldo, che in 11 partite a Capo d’Orlando aveva prodotto 15.7 punti col 42.6% da 3 e 7.5 assist lo avrebbe meritato ma ce lo ha subito rubato il Galatasaray. Oggi mi sentirei di candidare solo Joe Ragland di Avellino, uno dei top in punti e assist pur tra vari problemi personali e risultati mancati del club, tipo coppa Italia, mentre va eliminato, perché Brindisi rischia di non fare i playoff, la novità più interessante della stagione, Amath M’Bahie. Poca roba. Alla fine, vedrete, uscirà Rakim Sanders perché gioca nella capolista ed è il solo che, quando sta bene, domina davvero il nostro campionato, in attacco e in difesa. Ma, se guardiamo le cifre limitatamente alla serie A, è sotto i 10 punti di media in 20’.
Può esserci un Mvp che gioca un tempo a partita? Non scherziamo. Alla fine, anche in questo che è un giochino, un semplice premio da assegnare, si nota uno dei punti deboli del nostro campionato, anche fatte le debite proporzioni: non c’è nessuno che ti fa sognare, almeno un pochino. Invece, ammirando Westbrook contro Denver, pur nel dispiacere di vedere il miglior Gallinari della stagione scivolare per l’ennesima volta fuori dai playoff, vedi la pallacanestro nella sua forma più emozionante. E, nella Nba, c’è una lotta spasmodica tra chi riesce a farti innamorare. Non da noi, non più.
Luca Chiabotti