In pochissime persone possono vantare di aver legato il proprio nome a quello di un piatto. Otto von Bismarck con l’uovo all’occhio di bue, Franz Sacher con l’omonima torta al cioccolato, la regina d’Italia Margherita di Savoia con la pizza più conosciuta al mondo.
Fra queste teste coronate spicca però anche uno sportivo italiano, dimenticato nel nostro paese, ma particolarmente apprezzato in Ungheria tanto da prendere un posto nella cucina magiara grazie alle “uova alla Santelli”, o “frittata alla Santelli” a base di uova, salsiccia, pancetta, pomodoro, formaggio grattugiato e pepe. Stiamo parlando di Italo Santelli, argento alle Olimpiadi di Parigi 1900 nonché uno dei principali padri della scherma italiana e internazionale.
Nato il 15 agosto 1866 a Carrodano (La Spezia), Italo inizia subito una carriera in ambito militare arruolandosi nell’esercito e iscrivendosi a soli ventun’anni alla Scuola magistrale militare di scherma di Roma incontrando come maestri il napoletano Masaniello Parise, Salvatore Pecoraro e Carlo Pessina, ex allievi della Scuola magistrale di Milano diretta da un altro innovatore della sciabola moderna come Giuseppe Radaelli.
Lì Italo conosce la scherma e se ne innamora diventando uno dei principali talenti della sciabola internazionale che gli consente di diplomarsi istruttore nel luglio 1889 venendo destinato in questo ruolo al 2° reggimento granatieri (Brigata granatieri di Sardegna), di stanza a Firenze. Rimane lì sino alla fine di maggio 1892 quando Santelli esce dall’Italia per partecipare al primo incontro internazionale andato in scena a Londra dove, insieme ad Agesilao Greco, Vincenzo Drosi e Angelo Torricelli, si trova ad affrontare una tournée al London Fencing Club davanti al duca di York George Windsor, futuro re Giorgio V.
La carriera di Santelli cambia però quattro anni dopo quando nel maggio 1896 il ligure viene invitato a Budapest per le celebrazioni del millenario della nascita dell’Ungheria. In un torneo che prevede 232 atleti fra i quali Giuseppe Nadi, Federico Giroldini, Luigi Barbasetti, Cino Cené, Francesco Galli, Emilio Bosdi, Marco Piacenti ed Eduardo Calabresi che scendono in pedana il 22 maggio con Santelli che vince il torneo dei maestri di sciabola battendo il magiaro Báró Bothmer Jenö, il tedesco Amon Greguritch, l’italiano Nadi e a l’altro ungherese Halász Zsiga.
L’esplosività di Santelli non passa inosservata, l’Ungheria se ne innamora e decide di ingaggiarlo come maestro di scherma per il Magyar atlétikai club (Club atletico ungherese) di Budapest in cui spiegare l’arte italiana dell’arma bianca. Grazie alle sovvenzioni pubbliche, la Salle Santelli diventa uno dei centri sportivi più rinomati dell’intera Europa richiamando nobili e membri dell’alta borghesia mittleuropea istruendo i principali atleti dell’intero continente.
A quel punto per Santelli c’è solo un traguardo da raggiungere: le Olimpiadi. A differenza di tutte le altre discipline, il barone Pierre De Coubertin concede ai maestri della scherma di partecipare in un torneo a sé malgrado siano a tutti gli effetti dei professionisti e non rispettino sulla carta lo spirito olimpico. Italo non ha paura di nessuno e raggiunge senza grandi difficoltà la finale dove incontra il connazionale Antonio Conte in derby tutto azzurro. Questa volta però Santelli deve arrendersi al laziale che regala alla scherma italiana la prima medaglia d’oro della sua storia.
Lo spezzino vive ormai a Budapest da quattro anni, è considerato a tutti gli effetti un ungherese e per molti anni si pensa che quella medaglia spetti ai magiari, ma sia il CIO che il CONI lo considerano a tutti gli effetti un podio tricolore. Anche perché nelle prime edizioni delle Olimpiadi non esistono i comitati nazionali e gli atleti spesso partecipano a titolo individuale.
A proposito del CONI, nel 1924 la medaglia di Santelli sparisce all’improvviso dalla lista tricolore. Tutto è dovuto a quanto succede nuovamente a Parigi, sempre per la rassegna a cinque cerchi con lo spezzino che si presenta in qualità di allenatore dell’Ungheria. Durante il torneo individuale di sciabola scoppia un parapiglia fra il team italiano e quello magiaro, volano insulti pesanti e Santelli traduce tutto agli ungheresi.
Quest’ultimi protestano con la giuria e ottengono la squalifica di Oreste Puliti, in corsa per l’oro. In Italia scoppia un’enorme polemica con tanto di accuse di tradimento nei confronti del maestro ligure accusato su La Gazzetta dello Sport da Adolfo Cotronei che nei suoi articoli provenienti dalla capitale francese giocò con il nome di Santelli dicendo “Italo? Piuttosto ungaro”. A quel punto il CONI cancella il suo nome dalla storia dello sport del nostro paese assegnando la medaglia di ventiquattro anni prima ai danubiani.
Per salvare il proprio onore, Santelli sfida a duello il giornalista che lo aveva offeso, facendosi rappresentare dal figlio Giorgio, campione olimpico nella sciabola quattro anni prima proprio con l’Italia. La sfida va a tutti gli effetti in scena su una barca al largo di Abbazia fra Trieste e Fiume. Come ricordato da Giorgio nel 1968 in un’intervista rilasciata al New York Times, il duello durò circa tre minuti e mezzo prima di esser interrotto a causa di un colpo alla testa che aveva ferito Cotronei. Il giornalista si riprenderà nonostante dodici punti di sutura, ma quello che più conta è che Italo Santelli si era ripreso l’onore di essere italiano.
E come si sa, i successi e le medaglie fanno gola a tutti, motivo per cui con il passare dei decenni quell’argento di Parigi 1900 tornò a essere considerato a tutti gli effetti un podio tricolore. E chissà se, come spesso accade nel nostro paese, quella decisione non sia stata presa dai dirigenti del CONI a tavola, gustandosi una favolosa “frittata Santelli”.