“Il rugby è un gioco per gentiluomini di tutte le classi sociali ma non lo è per un cattivo sportivo, a qualsiasi classe sociale esso appartenga”.
Il motto dei mitici Barbarians (la squadra a inviti più iconica della palla ovale), figlio del vescovo di Bloemfontein Walter Carey, manifestava già più di 100 anni fa i valori della sportività e della lealtà nel mondo del rugby. Da più di un secolo il rugby è uno sport di cui si parla un gran bene per i nobili valori che rappresenta. Tra giocatori e addetti ai lavori, l’orgoglio di portare avanti questi valori è palese, al punto da sembrare talvolta persino arrogante e stucchevole per gli sportivi di altre discipline. Fatte le dovute proporzioni, un po’ la stessa presunta superiorità che anni fa si leggeva su un manifesto pubblicitario della lega volley, nel quale si invitavano i tifosi a riempire i palazzetti perché la pallavolo non è come il calcio e la violenza dei suoi ultras. Una caduta di stile che fu immediatamente abbandonata.
Se ti ergi a sport dagli alti valori e modello da seguire, devi essere irreprensibile in ogni contesto, anche quello della punizione per chi trasgredisce. Una sorta di questione morale, come nella politica della Prima Repubblica, che impone al rugby la massima attenzione a lealtà e rispetto. Esattamente quello che non è successo dopo il test-match tra Scozia e Francia (vinto dalla squadra del cardo), quando un placcaggio brutto e irregolare – sopra la linea delle spalle – del pilone scozzese Zander Fagerson è stato sanzionato col cartellino rosso. Il problema della questione morale si è sollevato in seguito, quando la commissione disciplinare ha comminato 4 turni di squalifica al giocatore. L’ammissione del fallo e le scuse di Fagerson hanno costituito un’attenuante, riducendo i turni di squalifica a 3. La prossima partecipazione del pilone a un corso tecnico sulla sicurezza nei placcaggi porterà a due le giornate fuori dal campo, cioè esattamente quelle che la Scozia disputerà prima dell’esordio in Coppa del Mondo a settembre. A pensar male si fa peccato, ma spesso ci si prende, sosteneva un altro big della Prima Repubblica.
Un caso ancora più palese è stato quello di Jonathan Sexton, mediano d’apertura e stella dell’Irlanda, che al termine della finale di Champions Cup persa dal suo Leinster contro La Rochelle, ha pensato bene di scendere dalle tribune e aggredire verbalmente arbitro e assistenti. La commissione disciplinare irlandese lo ha sanzionato con tre giornate di squalifica, pena decisamente modesta per il comportamento tenuto dal giocatore. Quando potrà tornare in campo? Esattamente per il debutto dell’Irlanda in Coppa del Mondo…
Perseguire cattive condotte con pene lievi e accomodanti rischia di minare la credibilità del rugby e dei suoi massimi rappresentanti, col rischio di relegare uno sport nobilissimo a un’autoreferenzialità fine a se stessa. Ne è la prova il commento di Will Carling, seconda linea e capitano dell’Inghilterra negli anni Novanta, riportato dal sito specialistico onrugby.it: “I valori del rugby sono importanti, e uno di questi valori è il rispetto, un altro deve essere la disciplina, e tutto il resto. Se no, allora perché far finta di avere questi valori? A fargli eco, ilil giornalista Neil Fissler, che sul sito https://www.therugbypaper.co.uk/ non ha usato mezzi termini:“Questo sport è una presa in giro, e coloro che hanno preso questa decisione sono dei clown incompetenti”. Il movimento rugbistico internazionale ha tutto per invertire la rotta, ma da qualche tempo Ovalia non sembra più la stessa. Meno male che la Coppa del Mondo è alle porte!