Pere Riba, che è il suo capotecnico nel Kawasaki WorldSBK Team e lo conosce bene, aveva visto giusto: “La sua autobiografia si intitola ‘Dream. Believe. Achieve.’ (‘Sogna. Credi. Ottieni’., ndr). È il motto che lo accompagna nei momenti difficili: Jonathan è il pilota migliore e con la mentalità migliore del paddock. Vincerà questo titolo. L’unica cosa che vuole è vincere” aveva dichiarato a metà stagione.
A Magny-Cours, terzultimo round del campionato, Jonathan Rea ha compiuto l’ennesima prodezza e ha scritto la storia: nessuno aveva mai conquistato cinque titoli (consecutivi) nelle derivate di serie. Persino “The king” Carl Fogarty si era fermato a quattro Mondiali. “In effetti a febbraio, prima che cominciassero le gare, l’obiettivo era questo”, dice l’uomo dei record nordirlandese, classe 1987.
Al primo round, però, hai capito che non sarebbe stato facile.
“Álvaro Bautista e la Ducati nuova di zecca, la Panigale V4 R, si sono dimostrati subito un pacchetto straordinario. Weekend dopo weekend, la loro supremazia è diventata imbarazzante: con 11 vittorie su 11 gare, il campionato sembrava nelle loro mani. A ogni tappa, io mi fermavo inesorabilmente al secondo posto”.
Come hai preso la situazione?
“Male. Non trovavo strada da percorrere. Avevo l’impressione che non avessimo alcuna possibilità di competere contro Álvaro e la ‘rossa’ . Se dal 2015 al 2018 io e la ZX-10RR eravamo il punto di riferimento, il pacchetto imbattibile, quest’anno con la squadra mi sono ritrovato in una posizione inedita e imprevista: prendere batoste una dietro l’altra”.
Poi cos’è successo?
“A Imola, finalmente, sono salito sul gradino più alto del podio. Poi sono arrivati altri primi posti. Credo che il passo da cui è partito il recupero sia stato accettare la realtà. Quando sono arrivato in circuito con questa consapevolezza, è cambiato l’approccio e siamo tornati alla vittoria. Chissà che la mia non sia d’esempio torni utile a qualcuno: sono la prova che, se non molli, puoi ottenere i risultati che ti sei prefisso. Da negativi, i secondi posti iniziali si sono rivelati la base da cui partire per risalire la china e scalare la la vetta ”.
Ricordi il momento della svolta?
“Ricordo che a Misano mi sentivo come un pugile che sopravvive alle prime riprese. Ero alle corde e sarebbe bastato un pugno per andare ko, ma non è arrivato e ho reagito, all’improvviso”.
Ti ha aiutato qualcosa in particolare?
“L’esperienza. Avevo già affrontato diversi ostacoli in carriera: nei mesi scorsi mi sono accorto che mi hanno insegnato tanto. Poi, il gruppo: è proprio vero che nei problemi l’unione fa la forza. La squadra non ha mai smesso di lavorare duro e, piano piano, siamo riusciti a migliorare. Il terzo sostegno è stata la mia famiglia, come sempre. Continua a darmi grande forza, stabilità e serenità”.
I tuoi figli sono ancora i tuoi fan più accaniti?
“Mi sa di no (ride, ndr): stanno crescendo e cominciano ad avere altri interessi e altri idoli. Vanno matti per il calcio, per esempio: sulla torta di Jake, ha compiuto 6 anni qualche giorno fa, c’era lo scudetto del Barcellona. Quest’anno mi hanno seguìto meno nel paddock, Jake va a scuola e Tyler, 4 anni, frequenta l’asilo; però festeggiamo sempre le vittorie delle gare e dei titoli: non erano a Magny-Cours perché nessuno si aspettava di conquistare il titolo lì”.
Per la prima volta sei atterrato da campione del mondo in Irlanda del Nord, dove sei nato e cresciuto. Che effetto ti ha fatto?
“Da brividi. L’accoglienza è stata unica, speciale, con centinaia di appassionati che mi aspettavano per festeggiare. All’aeroporto dell’Isola di Man non ho mai ricevuto tanto affetto. L’anno scorso ero atterrato lì, dove abitavamo: ci siamo trasferiti a Belfast finita la stagione per tornare alle mie origini (Tatjia, sua moglie, è australiana, ndr). È stata la scelta giusta: i piccoli si sono ambientati subito e hanno i nonni vicini, che ci danno una grossa mano”.
Mancano due round al termine della stagione: se non vincessi tu la prossima?
“Ci penso, come ci pensavo negli anni scorsi: è lo stimolo per non perdere la motivazione e non smettere di dare l’anima. Però ora voglio godermi questa gioia esagerata: il quinto Mondiale è stato il più sofferto e, insieme, il più dolce della carriera. Sto vivendo in una bolla meravigliosa, non ho mai provato niente di simile e mi piacerebbe che queste emozioni non finissero mai”.
*Credito foto: Dario Aio