Dal nostro inviato all’Olimpico di Roma
“Dobbiamo essere semplicemente migliori”. Il laconico e diretto commento di capitan Michele Lamaro non lascia spazio a dubbi. L’Italia, sconfitta 29-17 da un Galles in netta ripresa dopo le ultime apparizioni, ha molto deluso.
Un primo tempo giocato molto male, concluso sotto per 22-3, ha condannato l’Italia alla quarta sconfitta su quattro nel Sei Nazioni. Una sconfitta che fa malissimo, perché questa – inutile nasconderlo – era la partita da vincere. Sul piano del gioco, oltre che del risultato, il passo indietro rispetto ai primi tre match è evidente. L’Italia ha terribilmente sofferto la pressione che la vedeva favorita: dopo tre partite ottime ma perse, la vittoria contro un Galles in difficoltà sembrava quasi doverosa e i ragazzi di Crowley non sono riusciti a togliersi di dosso questo grosso fardello. La voglia e il cuore non sono mancati, ma la lucidità e la cura dei dettagli sono rimasti negli spogliatoi. Di questa partita salviamo un secondo tempo sufficiente – ma pieno di errori -, l’applauso del pubblico a un’Italia brutta ma meritevole di fiducia per il futuro e poco altro.
Non è la prima volta che l’Italrugby viene quasi paralizzata dalla pressione di dover vincere. Successe anche alla Coppa del Mondo 2007 in Francia, nell’ultima partita in Nazionale di Alessandro Troncon. Allora, in quello che fu di fatto lo spareggio per il secondo posto del girone contro la Scozia, l’Italia di Castrogiovanni e Parisse non seppe esprimersi al meglio e i numerosi falli ci condannarono alla sconfitta. Al fischio finale impossibile dimenticare il pianto di Troncon, delusissimo per il risultato ma anche per l’enorme rimpianto di un match giocato al di sotto delle possibilità dagli azzurri. Quella partita però fu sempre in bilico, mentre oggi la superiorità del Galles è stata evidente si è tradotta nel punteggio sin dal calcio di punizione trasformato da Owen Williams in apertura di match.
L’Italia della palla ovale è del resto in ottima compagnia quanto a prestazioni deludenti nel momento più importante. L’ossessione per la Champions League della Juventus è diventata tale per le tante, troppe finali perse, in tutto sette su nove disputate. La Juve di Michel Platini perse contro l’Amburgo di Magath nel 1983, al termine di una partita stregata nella quale i bianconeri non seppero in alcun modo trasferire sul campo la netta superiorità sulla carta. La Juve di Marcello Lippi fallì nelle tre finali del ’97, ’98 e 2003 dopo tornei giocati a livelli decisamente superiori di quelli (non) offerti nell’ultimo e decisivo atto. Fino alla Juve di Massimiliano Allegri, sconfitta nel 2015 dal Barcellona e nel 2017 dal Real Madrid. In particolare contro i blancos, dopo un buon primo tempo finito 1-1, la Juve scomparve nella ripresa, dando via libera alla festa delle merengues, fino al pesantissimo 4-1 finale.
A proposito di colleghi autorevoli nell’arte di farsi travolgere dalla pressione, il XV azzurro può fregiarsi anche della presenza di Sua Maestà Roger Federer, per molti il GOAT (Greatest of all times) del tennis, ma che col suo contemporaneo Rafa Nadal ha sempre sofferto e spesso perso. In particolare, torna alla mente la finale dell’Australian Open 2009: al termine del match, Roger non riuscì a trattenere le lacrime durante la premiazione: “Damn, it’s killing me”, fu la frase shock del campione elvetico, riferita proprio alla pressione di dover vincere sempre, anche e soprattutto contro la sua bestia nera.
Juventus e Roger Federer, niente male come compagni di viaggio. Peccato però che i bianconeri e il (quasi?) GOAT della racchetta abbiano vinto tantissimo, mentre l’Italia della palla ovale non lo ha fatto quasi mai. Certo, è ingeneroso dare addosso a una squadra che nell’ultimo anno ha saputo vincere in Galles (nel Sei Nazioni dell’anno scorso), ha travolto Samoa e ha superato un gigante mondiale come l’Australia per la prima volta di sempre. Per poi giocare alla pari contro l’Irlanda e la Francia, le prime due nazionali del ranking mondiale. Però perdendo, come ha fatto – onorevolmente – contro l’Inghilterra e molto meno oggi contro il Galles. Il risultato nello sport è crudele, perché negli almanacchi questa Italia non vince in casa dal 2013 ed è molto vicina all’ottavo cucchiaio di legno consecutivo, il diciottesimo in ventiquattro Sei Nazioni giocati. A meno che tra sette giorni non riesca nell’impresa di superare la Scozia a casa sua, nel tempio di Murrayfield, contro una squadra di molto superiore a questo Galles. Perché le grandi partite perse rimangono grandi partite, ma alla fine, come si ripetono ossessivamente alla Juve, vincere non è importante, è l’unica cosa che conta.