Le notti di Champions ci hanno regalato delle emozioni incredibili, un gustoso assaggio del meglio che ha da offrire il calcio europeo. Diciotto reti in quattro partite, colpi di classe da stropicciarsi gli occhi, tanta intensità, stadi moderni e, ça va sans dire, dalle tribune gremite. Insomma, il modo migliore per far innamorare un bambino di questo sport. A proposito di giovani e giovanissimi, se gli occhi di tutto il mondo nei mesi scorsi si sono concentrati su Yamine Lamal, ora c’è un coetaneo, ergo un classe 2007, nonché suo compagno di squadra che l’altro ieri ha dimostrato, ancora una volta, di avere un grande avvenire davanti a sé.
Il suo nome è Pau Cubarsí. Mercoledì scorso, a 17 anni e 19 giorni, è diventato il più giovane difensore ad aver esordito titolare in un quarto di finale di Champions League. Ha chiuso la sua partita senza subire neanche un dribbling, ciò significa che non si è mai fatto superare da nessuno e di fronte aveva quel satanasso di Kylian Mbappe. Anche nel doppio confronto contro il Napoli, Pau aveva chiuso esattamente allo stesso modo, respingendo qualsiasi velleità offensiva architettata dal tandem azzurro Osimhen – Kvara, vincendo poi a fine partita il premio di MVP. Giocare con questa classe e pulizia tecnica a diciassette anni in cornici di così alto livello è semplicemente paranormale. “È ad un livello eccezionale, è come se fosse un veterano. È pazzesco!” – ha esclamato Xavi nel post partita a Prime Video.
Cubarsí ha già debuttato con la nazionale maggiore spagnola e, con ogni probabilità, si ritaglierà il suo spazietto tra i convocati del CT De la Fuente in vista dell’Europeo in salsa teutonica. Cubarsí proviene da Estanyol, provincia di Girona, un paesino di circa 200 abitanti e nasce da una famiglia di artigiani. Fino a poco tempo fa, il giovane Pau si è, infatti, diviso tra il pallone e la falegnameria di proprietà dei genitori attiva, ormai, da quasi cento anni. Quando, però, è stato notato dagli osservatori blaugrana, Cubarsí ha dovuto dire addio a quella doppia vita riservata a calciatori d’altri tempi e varcare i cancelli della Masia, il settore giovanile o meglio la fucina degli artisti griffata Barcellona. Un atelier raffinato quello blaugrana nel quale non si fanno scrupoli a lanciare periodicamente nel calcio che conta i loro capi più pregiati. Insomma, alta sartoria. In Catalogna, amano non porsi limiti sotto questo aspetto. Il talento viene forgiato, ricamato e, ad un certo punto, lanciato su quelle grandi passerelle che sono i prati verdi degli stadi di mezza Europa. L’Europa delle grandi notti di Champions League.
In Italia un fatto del genere non sarebbe mai successo. A Pau Cubarsí qualsiasi club italiano avrebbe preferito un giocatore più navigato, scafato, uno che, se dalla panchina urlano di puntare la bandierina del corner nel corso dei minuti di recupero, obbedisce senza battere ciglio come fece il buon Garibaldi durante la III guerra d’Indipendenza. Agli omologhi di Pau Cubarsí l’Italia del pallone riserva, infatti, un rigido cursus honorum: un paio d’anni in Primavera, magari un altro da fuori quota che non guasta mai, un prestito secco in serie B o in qualche squadra di A nelle sabbie mobili della zona retrocessione. Poi, forse, il tanto agognato ritorno alla casa madre. Per carità, alle volte questo è il percorso migliore che un giovane è tenuto a fare; esistono, però, calciatori in grado di bruciare le tappe e in Italia questa alternativa non sembra essere mai presa in grande considerazione. Fa riflettere che Alessandro Bastoni, classe 1999, venga considerato dai media italiani “un giovane”, nonostante la sua carta d’identità reciti ormai 25 anni. Non è difficile pensare che Cubarsí, rebus sic stantibus, otto anni in meno del difensore nerazzurro, verrebbe trattato dai cronisti del belpaese e dai milioni di allenatore e commissari tecnici che affollano ogni giorno bar, bistrot e quant’altro come un poppante in fasce.
Finché restiamo ancorati all’equazione che giovane corrisponde a impreparazione ed inesperienza, allora l’Italia sarà sempre un passo indietro rispetto a chi ha come unico metro di giudizio il talento. Se c’è una cosa che non manca in questo paese sono proprio i calciatori.