Viva Venus Williams. Viva il campione esemplare, che resiste agli anni (37), agli acciacchi (la debilitante sindrome di Sjogren), alla concorrenza con la sorella Serena (che ha vinto 22 Slam) e, alla campagna numero 20 sui prati più famosi, nello Slam numero 75, arriva alla decima semifinale di Wimbledon (che ha vinto 5 volte in 8 finali), fissando il record di 100 match ai Championships, grazie al successo su Jelena Ostapenko, che ha 17 anni di meno. Viva Venus che, così come in campo – e dal 1997 (!) – spinge forte, di servizio, di rovescio, sempre e comunque, alla ricerca del punto prima possibile, anche fuori del campo, non ha dubbi: “Il mio segreto è l’amore che ho per il tennis, cerco di dare sempre il massimo di quello che ho, convinta dell’amore che ho da sempre per la sfida, per la pressione del match. Non è sempre facile da gestire, ma so che la risposta è dentro se stessi, perché la pressione maggiore nasce dentro di noi, non da fuori. E quando perdi, c’è sempre un motivo, devi solo migliorare. La competizione fa crescere continuamente, certo, l’esperienza aiuta, ma è necessaria anche una gran quantità di lavoro”.
Viva Venus e viva il tennis di spinta, d’attacco. Epperciò, viva anche Johanna Konta, detta Jo, importata dall’Australia per eguagliare l’ultima semifinale brit a Wimbledon, proprio sotto gli occhi dell’attrice del 1978, Virginia Wade. “Abbiamo uno stile simile: aggressive, serviamo bene, rispondiamo bene, siamo molto solide da fondo”, anticipa la loro semifinale Venus Williams. Brava Jo, dal rovescio al bacio, che continua a tirar forte dall’inizio alla fine (48 vincenti e 36 gratuiti), vanificando la melina di Simona Halep nel secondo, decisivo, set, che si assegna al tie-break. Sul 5-5, la romena che, vincendo, sarebbe salita al numero 1 del mondo, attende solo l’errore dell’avversaria, e si suicida, esattamente come nella finale del Roland Garros contro Jelena Ostapenko, avanti di un set e un break. La potente ceca Karolina Pliskova ringrazia: è lei ad approfittare del tracollo di Angelique Kerber e a salire lunedì sul trono della classifica mondiale.
Sorprende un po’ la rinascita di Garbine Muguruza, che s’era eclissata dopo la finale di Wimbledon 2015 e il successo del Roland Garros 2016. Forse il nuovo coach, la spagnola Concita Martinez, protagonista di un miracoloso trionfo ai Championships 1994, le dà forse quella tranquillità che mancava con Sam Sumyk. Forse la spagnola di ceppo venezuelano è soprattutto maturata, proprio attraverso le recenti delusioni, e sembra di nuovo libera di sviluppare il suo gioco di potenza. Tanto da diventare la favorita dei Championships. Forse è solo la legge di sir Andy Murray: “Non pensare, aiuta”. Soprattutto sull’erba. Ma Coco Vandeweghe qualche volta dovrebbe farlo, contro il cervello fino di Magdalena Rybarikova. Che racconta l’ennesima favola del tennis: dodici mesi fa la slovacca cedeva a Wimbledon nel primo turno, si è fermata sette mesi per operarsi a polso e ginocchio, è tornata alle gare appena a febbraio, da numero 156 del mondo, poi ha vinto 29 degli ultimi 31 match, è risalita all’87 e, ora, a 28 anni e 9 mesi, tocca la prima semifinale Slam della carriera. E’ l’ennesima gemma del super cacciatore di talenti Veso Matjas.
Vincenzo Martucci