Muore a soli 54 anni, nella sua casa di Nashville nel Tennessee, Wilma Rudolph, la gazzella nera che ha fatto innamorare di sé milioni d’italiani durante i Giochi Olimpici di Roma. Nata a Clarksville il 23 giugno 1940 – ventesima di ventidue fratelli – guarisce a undici anni dalla poliomielite che le impediva di camminare.
Alla Burt High School, dove giocava a basket, viene notata dall’allenatore Ed Temple che la indirizza verso l’atletica leggera. È altissima (1,81 m) e slanciata e così veloce che in breve tempo entra a far parte del giro della nazionale. Ai Giochi di Melbourne del 1956, quando aveva solo 16 anni, vince una medaglia di bronzo nella staffetta 4 x 100. Nel 1958 si ferma per la maternità, ma ha anche la fortuna di vivere vicino a uno dei due college statunitensi per soli neri con un programma sportivo specifico e articolato per donne, il Tennessee State Track Club.
Nel 1960, a Corpus Christi nel Texas, diventa la prima donna al mondo a scendere sotto la barriera dei 23″ nei 200 metri (22″9). Prodigio d’eleganza e di bellezza agonistica, si consacra alla storia dell’atletica nel settembre del 1960 quando illumina i Giochi di Roma. Giornalisti e fotografi fanno a gara nell’attribuirle presunte relazioni sentimentali. Ne verrà coinvolto anche Livio Berruti. All’Olimpico vince i 100 metri in 11″ (record del mondo non convalidato per il vento a favore), i 200 in 24″ e la staffetta 4 x 100 in 44″5, dopo aver battuto il primato del mondo in semifinale (44″4). Nel 1961, nell’arco di quattro giorni, abbassa i primati mondiali della staffetta 4 x 100 (43″9) e dei 100 metri (11″2). Lascia lo sport ancora giovanissima, nel 1962, per diventare insegnante, allenatrice e telecronista sportiva. Poi dà vita alla Wilma Rudolph Foundation, per bambini disabili, raccogliendo fondi e ricevendo i massimi riconoscimenti sportivi statunitensi, come il Sullivan Award, consegnatole personalmente il 14 aprile 1961 dal presidente degli Stati Uniti John Fitzgerald Kennedy.
Minata da un tumore al cervello, se ne va quando ancora avrebbe potuto fare del bene a generazioni sfortunate.