Fabio Capello, con la mascella in resta e il tradizionale e ruvido pragmatismo, è stato lapidario: “Sulla panchina della Nazionale? Giammai. A me piace allenare i talenti e qui non ce ne sono”. Ovviamente ognuno la pensa come vuole, certo è (più) facile ottenere risultati con una squadra di fuoriclasse che senza e quindi l’analisi capelliana non fa una grinza. Però è comoda. Io preferisco Antonio Conte che si è messo in gioco nel 2014 con un gruppo uscito malissimo dall’esperienza in Brasile, ridotto ai minimi termini e, senza una grandissima qualità nei ranghi è arrivato a un rigore dalla semifinale di Euro 2016 trasformando in eroe Graziano Pellè, di cui si sono perse le tracce, a parte le foto sui social.
Ora noi siamo qui, in mezzo al guado, con i due organi più importanti del calcio (Lega e Federazione) commissariati e litigiosi, un commissario tecnico a tempo determinato, Gigi Di Biagio, che però potrebbe anche diventare a tempo indeterminato, ma sempre con lo stesso problema: non abbiamo una generazione di fenomeni.
Ogni tanto qualcuno mi dice: ah, Ventura, se avesse fatto giocare Insigne. Sarebbe cambiato poco o niente. Insigne è un grande giocatore ma appartiene a quel segmento di potenziali campioni che fuori da un contesto domestico non sono stati mai capaci di cambiare il corso della storia. Penso a Totò Di Natale che giustamente rifiutò di lasciare Udine per la Juventus (oggi sarebbe andato a piedi) a Ciro Immobile e appunto a Insigne. Tutti mai pervenuti in Nazionale. Accoccolati nel gioco protetto dei loro club, ben strutturati, specialmente con il sistema Sarri a Napoli, sono irresistibili, ma quando si va fuori dai confini, quando devono prendere in mano loro la squadra, non riescono a fare la differenza. Questo ci manca, a livello di generazione calcistica, la capacità di essere competitivi anche nelle difficoltà, di fare la differenza quando gli altri non ti seguono, di essere fenomeni anche fuori dal nostro orticello. Questa è la settimana delle Coppe Europee. Un’occasione per crescere e per smentire il “mascellone” e formare una generazione “internazionale”.
Roberto Perrone
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