Giovani, moderni, connessi col web, reattivi agli ultimi film, agli ulltimissimi video clip, alla moda. A Indian Wells, nel paradiso dei ricchi pensionati, bianchi, della California, che la famiglia Williams ha boicottato per 14 anni accusando i locali di razzismo, la 22enne Sachia Wickery – di nascita e bandiera Usa, ma di mamma della Guyana – ha festeggiato l’inatteso e clamoroso successo sulla spagnola Garbine Muguruza salutando la folla con le braccia piegate, portate più volte verso il petto. E il 31enne Gael Monfils – francese di papà della Guadalupa e mamma della Martinica – ha firmato il derby fra pivot bombardieri con lo yankee da college, John Isner, mimando lo stesso gesto. “Viene da Wakanda Forever”, ha spiegato la ragazza di casa che è appena salita alla ribalta. “Sono ossessionata da quel film. Si sta impossessando della mia vita. L’ho già visto quattro volte. Devo continuare a riguardarlo perché ha un effetto benefico su di me. L’interprete di Shuri, viene dalla Guyana, come mia madre…”.
Il film si chiama “Black Panther”, la sigla più oltranzista dei neri d’America, interpreti della ribellione degli Afroamericani. E Monfils è un personaggio controcorrente del tennis, come atleta dal gioco personalissimo e imprevedibile, e come personaggio ugualmente indecifrabile e fuori dalle regole. “Gran film, positivo per tutti, ancor di più per la nostra comunità, significa molto. E quel gesto che faccio a fine match non è solo un segno, è qualcosa che va oltre, è un gridare che sto sostenendo la comunità dei Black Panthers. E’ un pensiero. E’ combattere la politica, è fare qualcosa per la nostra comunità, è un dimostrarsi attento a quel che succede. Ho un caro amico, in Francia, che è molto coinvolto e ogni mattina leggo tutti i suoi post, e tutte le sue interviste: si chiama Claudy Siar, e viene dalla Guadalupa. Io non credo di essere un riferimento, a mia volta, di questi pensieri, ma posso riportare il messaggio con un segno come questo, e lo faccio”. Come i calciatori di colore Paul Pogba e Jesse Lingard, nella Premier League. Perché un personaggio sportivo trascina le folle, è un esempio, un punto di riferimento, per il popolare “La Monf”: “I miei tifosi sono una benedizione, sono qualcosa che significano tanto per me. In campo, cerco di essere me stesso, di essere naturale, di dare tutto e di mostrare le emozioni. Se la gente riesce davvero a connettersi, è fantastico, ne sono felice”.
Indian Wells è un torneo unico che consente ai tifosi di essere davvero molto vicini ai giocatori. Spiega Monfils: “E’ positivo e insieme negativo, ho buone e cattive esperienze: cattive, perché a ogni partita ricevo dei commenti razzisti e posso incontrare una persona razzista ma, al contrario, posso avere uno stupendo rapporto con super-tifosi che invece ti fanno sentire il loro affetto ovunque. Sono tutt’e due strani, ma così vanno le cose e dobbiamo accettarle”. Due anni fa era numero 6 del mondo e oggi è sceso al 42 per i soliti infortuni e su e giù di rendimento. Quest’anno ha già vinto 12 partite sulla scia del primo torneo vinto a Doha, raggiungendo almeno i quarti in tre dei successivi quattro appuntamenti. Dimostrando, quindi, una insolita continuità di rendimento, grazie al coach svedese, l‘ex pro Mikael Tillstrom, della scuola del già numero 2 del mondo, il campione di Roma 2000, Magnus Norman. Quello che ha portato alle stelle Soderling e Wawrinka.
di Vincenzo Martucci
(tratto da www.federtennis.it)