La medaglietta della Palmisano nella marcia chiude un buco lungo quattro stagioni. Era infatti dall’argento della Straneo nella maratona dei Mondiali di Mosca 2013 che l’Italia non saliva sul podio (ultimo oro quello di Gibilisco nell’asta, Parigi 2003, sic!), ma non basta a coprire il disastro annunciato di questa spedizione.
La marciatrice pugliese erano l’unica che aveva davvero possibilità di salire sul podio e avrebbe anche potuto essere una medaglia di un metallo più prezioso se nel finale della 20 km i giudici avessero avuto il coraggio di fermare le tre davanti a lei che visibilmente correvano invece di marciare. Per il resto non c’era da aspettare un granché. Non si poteva chiedere una medaglia a Gianmarco Tamberi, arrivato a Londra dopo un gravissimo infortunio con un primato stagionale di 2.28, che sulla pedana iridata si è addirittura migliorato di un centimetro dimostrando le grandi qualità agonistiche che già si conoscevano.
Non poteva essere da podio Alessia Trost, partita dall’Italia con uno stagionale di 1.94, ancora alle prese con una rivoluzione tecnica del suo modo di saltare ancora lontana dall’obiettivo. Per la friulana non è tanto difficile assimilare la tecnica utilizzata da Tamberi, quanto lasciare in soffitta quella adottata in precedenza. La Trost non fa due salti uguali, la sua strada è ancora lunga. E non si poteva chiedere di più al giovane Filippo Tortu: il suo picco di forma l’aveva già toccato un mese fa agli Europei juniores di Grosseto vincendo l’oro dei 100, era ai Mondiali solo per capire come “gira il fumo” in manifestazioni di questo livello. E nemmeno alla Folorunso, che ha passato un turno nei 400 hs, ma parsa pure lei in calo.
Abbiamo toccato il fondo? Non ancora, in coda al medagliere, abbiamo ancora un magro bottino nella classifica a punti (assegnati ai primi otto di ogni gara). Li hanno conquistati Stefano Meucci, sesto in una maratona senza campioni, e appunto la Palmisano. La realtà è che a Londra l’Italia ha portato 36 atleti (18 uomini e altrettante donne) ed, escludendo quelli di prove secche come marcia e maratona, 17 su 23 non hanno superato il primo turno. Molti di loro non si sono proprio dimostrati di un livello minimo per gareggiare ai Mondiali.
Dove sta l’errore? Sono tanti e si possono affrontare solo a volo d’uccello. Il primo è puntare troppo sui minimi di partecipazione, ma qualcuno è stato convocato solo per tappare i buchi nelle liste di partenza (target number). Così un atleta si danna per raggiungere questo minimo, il resto gli interessa poco, figuraccia compresa. Giù il cappello a persone come il giovane triplista Della Valle che ha rinunciato all’onore non sentendosi all’altezza. Il miglior risultato stagionale è una punta (sporadica) conta la media delle prestazioni, è quella che dimostra il livello di un atleta. Ma presentiamo squadre così larghe anche perché alle spalle della federazione spingono i gruppi sportivi militari, che giustificano così parte del loro grande e fondamentale impegno.
Poi c’è la federazione. Nonostante con denaro in gran parte pubblico sia fra le più ricche, non riesce a pagare decentemente i suoi allenatori, permettere loro un professionismo tranquillo. Tecnici di alto livello in grado anche di diffondere il messaggio sul territorio. E proprio sul territorio sta il problema più grande, dove una società si sacrifica per 4/5 anni per formare un allenatore che ai primi risultati viene poi ingaggiato da squadrette di calcio, basket o volley, in grado di dargli quel pochi denari che l’atletica non può offrire. Il nuoto è florido perché si paga per entrare in piscina, una società di atletica che accoglie gratuitamente un ragazzo, dopo un mese si sente chiedere borsa e abbigliamento societario.
Quando l’atletica italiana era ai primi posto del mondo, c’era la scuola dei maestri dello sport, i Giochi della Gioventù, i Cas (centri di avviamento allo sport) che hanno sfornato i campioni dell’era dell’oro. Da sola la Fidal non ce la può fare, serve l’intervento del Coni per ricreare quella cultura che un tempo il mondo ci invidiava e che poi è stata dispersa. Ma la federazione deve pure guardarsi dentro. C’è gente che, siccome il tempo di elezioni federali porta pacchi consistenti di voti, da più di vent’anni fa danni, influenza scelte tecniche anche da posizioni non ufficiali, crea confusione. Confusione che ha portato anche a bruciare diversi talenti.
E poi c’è una parola che va cancellata: “decentramento”. Era la parola magica del dopo Nebiolo, un modello di democrazia, ma ha prodotto danni incalcolabili, facendo sedere i nostri atleti, facendogli perdere di vista qual è il vero alto livello. Il resto del mondo concentra per mesi gli atleti migliori, fornisce loro tutti i servizi, ma li tiene costantemente sotto controllo.
Il futuro non è nerissimo. Le recenti manifestazioni giovanili, Europei juniores e Under 23 hanno dimostrato che non mancano giovani talenti. Non c’è solo Tortu, bisogna recuperare Del Buono e Zenoni e far crescere con calma gli altri giovani di valore. Ma prima bisogna mettere ordine in casa, fare le grandi pulizie.
Pierangelo Molinaro