Dimmi come guidi e ti dirò chi sei. Prendiamo Andrea Dovizioso, per esempio: tra sorpassi chirurgici, staccate da manuale e pieghe che sembrano disegnate con il goniometro, l’alfiere del Mission Winnow Ducati Team di MotoGP è l’essenza delle precisione. Come fuori dalla pista. «Vero: sono maniaco della puntualità, organizzato, ordinato, pignolo. E credo nelle regole: secondo me esaltano le doti naturali, invece di smorzarle» racconta il rider forlivese, 33 anni, campione del mondo della classe 125 nel 2004.
Il tuo identikit è opposto allo stereotipo del pilota, tutto istinto e follia.
“Il merito va anche al mio autocontrollo, perché sono più focoso di quanto appaia: pensa che a volte non mi riconosco nemmeno io nelle interviste in tv. Il temperamento del leader non mi manca – da bambino ero timidissimo eppure emergevo dal gruppo – soltanto che non mi vedrete mai protagonista di scene plateali”.
Non ti senti una superstar, insomma.
“Per carità! Sull’argomento rimando al brano ‘Disperato erotico stomp’ di Lucio Dalla”.
Perché?
“Contiene la frase ‘L’impresa eccezionale è essere normale’, che riassume perfettamente il mio pensiero”.
Sarebbe?
“So quanto valgo, ma mi basta dimostrarlo sulla mia Desmosedici fiammante: le chiacchiere stanno a zero, bado alla sostanza, non all’apparenza. Ecco perché limito i social network alla sfera del lavoro: quella privata resta tale. A chi interessa cosa mangio a cena?”.
Le vittorie, però, ti hanno trasformato in un idolo: la tua riservatezza come reagisce alla popolarità?
“Approva: la fama è la conseguenza inevitabile dei podi, quindi ben venga. Sono un pilota italiano e guido una moto italiana: sto realizzando il sogno che coltivavo da piccolo e lo dimostro ai tifosi appena posso. Il loro grande affetto mi ha aiutato a sbloccarmi: i cori che mi incitano e le bandiere con il mio numero (04, ndr) nei circuiti sparsi nel globo mi danno una soddisfazione immensa”.
Quale altra soddisfazione vorresti toglierti?
“Conquistare il titolo della classe regina, ovvio. Corro per la factory emiliana dal 2013, ormai siamo una squadra affiatata e il nostro metodo di lavoro è in continua evoluzione: abbiamo sfiorato il titolo nel 2017 e siamo fiduciosi per il futuro”.
Cos’hai imparato in 20 anni di paddock?
“L’attenzione ai dettagli, sono sempre loro che fanno la differenza. Poi, il rispetto dell’avversario e lo spirito di sacrificio, indispensabile per alzare i trofei: lezioni che tornano utili nella vita quotidiana”.
Come trascorri il tempo libero?
“Mia figlia Sara, 10 anni a dicembre, ha la priorità e sfrutto ogni attimo per starle vicino. Dalla mattina presto: facciamo ginnastica a corpo libero insieme prima di colazione e dopo l’accompagno a scuola”.
Le hai già insegnato ad andare in moto?
“Ha provato con i suoi amichetti ed è stata bravissima perché si è buttata senza paura. Come tutte le donne”.
Tu hai mai paura, quando corri?
“Sempre. Guai, altrimenti. Se non interviene la paura, finisce che superi i tuoi limiti: immaginati le possibili conseguenze, a 350 km orari di velocità, protetto soltanto da casco e tuta”.