Aldo Biscardi, l’inventore del “Processo”, è scomparso a Roma. Il 26 novembre avrebbe compiuto 87 anni. Nato a Larino, in provincia di Campobasso, Biscardi sta al dibattito televisivo (non solo sportivo), come Arrigo Sacchi sta al calcio e Gualtiero Marchesi alla cucina. Possiamo discuterli e anche criticarli ferocemente, ma esiste un prima e un dopo di loro.
Biscardi ha inventato non solo un programma – “Il processo del lunedì” (1980-1993 Rai), poi “Il processo di Biscardi” (dal 1993 su Tele+, Telemontecarlo, La7, 7Gold dove prosegue con i figli Maurizio e Antonella – ma un genere televisivo. Comincia al Mattino, poi passa a Paese Sera. Del suo periodo alla carta stampata vengono tramandate citazioni strabilianti. “Stormi di piranhas oscurano il sole”; “il centravanti si infila tra gli incunaboli della difesa”. Vere o false? Come ci hanno insegnato i greci, i miti fioriscono solo attorno a personaggi leggendari.
Quando arriva alla neonata Rai3 a fine anni ’70, crea un programma che vanterà innumerevoli tentativi di imitazione. Non solo per quanto riguarda il calcio. Gli eredi di Biscardone dalla chioma rossa (mai della stessa tonalità, come si addice a una diva del varietà) stanno in tutti i talk show. Michele Santoro con le sue piazze incendiarie e Fabio Fazio con il suo tavolo a ferro di cavallo seguono lo schema-Biscardi. In studio si assiepano personaggi diversi per cultura, estrazione, ideologia, ma tutti funzionali allo show. Da lui, oltre a giornalisti (non solo sportivi), vanno politici (da Andreotti a Berlusconi), registi (Pasquale Squitieri, Ricky Tognazzi), critici d’arte (Vittorio Sgarbi), teatranti (Carmelo Bene). A volte sono personaggi noti, a volte perfetti sconosciuti che diventano improvvisamente popolari, come Vincenzo Carchidi, direttore de “La schedina”, o Tiziano Crudeli che da giornalista local-milanista finisce a interpretare se stesso in uno spot pubblicitario per il mercato inglese. Ognuno ha un ruolo in commedia. Non è giornalismo, è avanspettacolo, vaudeville. Non è un giudizio negativo, è la realtà, sancita anche da una sentenza che respinge la querela dell’Associazione italiana arbitri perché “la credibilità oggettiva delle notizie riportate e fatte oggetto di dibattito è riconosciuta come assai bassa, secondo l’opinione comune, trattandosi non infrequentemente di notizie create o gonfiate per suscitare la polemica”. Insomma, è un “bar sport”, tutti lo sanno, nessuno s’offenda.
L’informazione è un’altra cosa. L’ho sperimentato di persona. Mi autodenuncio, ci sono stato anch’io. Europei in Portogallo, 2004. L’inviato a Lisbona del Processo mi convince a partecipare al collegamento con la trasmissione. L’Italia di Trapattoni rischia l’eliminazione. Il Processo è al c.t., seguendo un classico copione: ha sbagliato le convocazioni. Io sostengo pacatamente che gli azzurri, da Buffon a Vieri, sono più che sufficienti per battere Danimarca, Svezia e Bulgaria. Biscardi non mi fa finire. Il mio ragionamento non è nulla di eccezionale, ma è un ragionamento. Non è utile per alzare il livello dello scontro.
Anche la bella ragazza che affianca il conduttore (da allora immancabile in ogni programma), talvolta con diritto di parola, talvolta bella statuina, la inventa lui. Da Jenny Tamburi a Giorgia Palmas, che da qualche settimana conduce il primo “Processo” senza Biscardi (dopo 37 anni), la passerella di miss non è mai finita. E tutti lo hanno imitato.
Da grande uomo di spettacolo, insulti e contumelie li prende come brezza. “È sempre stato difficile muovere delle critiche a Biscardi, con le buone o con le cattive: il suo genio da finto tonto sapeva sempre volgere a suo favore ogni rimprovero” (Aldo Grasso). Negli anni ’80 il giornale dove lavoro attacca ogni settimana “il bar del lunedì”. All’uscita di ogni articolo, Aldone telefona al caporedattore. “Carissimo, ti ringrazio per l’ardicolo, vieni qualche volta da noi”. Dopo qualche tempo, sconfitto, il mio capo accetta l’invito. Si sa prendere in giro, però, a differenza di tanti dei suoi nipotini, infatti accetta di girare la pubblicità di un corso di inglese. Al professore che gli consegna un diploma dicendogli che il suo inglese è meglio del suo italiano, risponde: “Denghiu”.
Nel 2006 finisce nei faldoni delle intercettazioni che mandano la Juventus in serie B. Lo accusano di prendere ordini da Moggi. Di essere succube. Subisce anche un provvedimento dell’Ordine dei giornalisti. Che ipocrisia. Da uomo di spettacolo ha buoni rapporti con tutti e con tutti millanta amicizie, frequentazioni. Tutto per lo show. Ora c’è chi nega di essere stato suo ospite o di averci disperatamente provato. Era popolare. Stadio di Ascoli, 1989, spogliatoio del Napoli. Intervista a Maradona nello spogliatoio. Ad un certo punto un energumeno ci spinge via. “C’è il dottore Biscardi che vuole salutare Diego”. Entra lui, fendendo la folla adorante. Baci e abbracci con il Pibe.
Ha distrutto la figura del giornalista sportivo, con la complicità della categoria. Ma lui sapeva quello che faceva e non gli importava nulla, i suoi complici consenzienti non se ne rendevano conto. Se ne va nell’anno della Var, Aldo Biscardi, sacerdote del “moviolone”. “Una mia vittoria, la Var” ha dichiarato nell’ultima intervista. Ma se fosse ancora qui, troverebbe il modo per contestarla. Perché lo show must go on.
Roberto Perrone
APPARSO SULLA GAZZETTA DI PARMA LUNEDI’ 9 OTTOBRE