Prendiamo uno qualsiasi dei nostri meravigliosi e amatissimi bambini, mettiamolo nelle condizioni più favorevoli per lui, e più pericolose per noi che svolgiamo il compito più difficile del mondo di genitore: davanti ai familiari riuniti in massa, a una festa comandata. Mettiamo che è il più piccolo, il più coccolato, il più seguito di quei momenti rari e forse anche irripetibili. Quello a cui tutti, ma proprio tutti direbbero di sì a una qualsiasi delle sue richieste. Che cosa risponderebbe se un parente gli dicesse: “Resta con noi, non ripartire con mamma e papà”. O meglio. “Vieni da noi al mare, non tornare a casa dove fa freddo e ti toccare andare a scuola”.
Ahinoi, sappiamo già che non ci sarebbe allibratore che accetterebbe la scommessa. Non ci esisterebbe quota. Qualsiasi bambino – forse anche un grande, in verità – risponderebbe, riservandoci uno sguardo languido e insieme furbetto: “Posso, posso davvero?”. Sciogliendo qualsiasi remora, e facendoci anche uscire una lacrimuccia. Ebbene, miracolo dei miracoli, sabato sera al Palalido di Milano, a conclusione della festa di famiglia che attendevamo da quarant’anni, il diavoletto rosso del sport italiano, non la Ferrari, ma Jannik Sinner, il predestinato del tennis italiano, mentre sfoggiava il primo trofeo Atp Tour, davanti alla sua nuova e foltissima famiglia aggiunta, fatta dai 5000 spettatori sul posto e da chissà quanti davanti alla tv, all’offerta di andarsene in vacanza, fra due settimane a Madrid, al seguito della nazionale di coppa Davis, ha risposto fermo, sicuro, senza bisogno di suggerimenti, anzi, sorprendendo il suo stesso clan: “No, non credo che ci sarò, quest’anno ho giocato davvero tanto e devo lavorare molto per preparare la prossima stagione. Sono giovane”.
Quanti anni ha il nostro ragazzo? Diciott’anni e tre mesi. E ha dato uno schiaffo alle cattive abitudini che regaliamo ai nostri figli e che Siglinde e Hanspeter, impegnati da mattina a sera in un rifugio della Val Fiscalina, non hanno regalato al loro Jannik. Il quale, a 13 anni, ha deciso che lo sci l’annoiava e avrebbe trasferito i suoi sogni di gloria sportiva dalle piste di casa, dov’era diventato campione italiano fra i paletti, alla misteriosa Piatti Academy di Bordighera “per diventare il numero 1 del mondo del tennis”. E, per sostenere una motivazione così, la parola-chiave è sempre e comunque lavoro. Non certo vacanza premio a Madrid. E’ pensare alle volée da costruire, al fisico da irrobustire, ai quesiti sull’acclimatamento “alla mia prima trasferta agli Australian Open, quanto tempo ci metterò ad abituarmi alle condizioni?”.
Questa è la morale di sabato sera a Milano, sul campo dov’è sbocciato Roger Federer, nella città dov’è spuntato fuori Stefan Edberg, e dove si sono dati battaglia campioni come Borg e McEnroe quando il torneo indoor meneghino voluto da Carlo Della Vida apriva la stagione invernale. Questa è la lezione che Sinner il giovane ha dato a tanti vecchi. Intanto, a noi genitori, poi ai tifosi spesso poco attenti alle fondamenta e troppo al risultato, e anche ai tecnici e i telecronisti di oggi, i giocatori di ieri. Chissà se si saranno chiesti: “Io, al posto suo, come avrei risposto a quella offerta che somigliava tanto alla famosa proposta di Lucignolo a Pinocchio?”. Il sosia tennistico del giovane Gustav Thoeni – che sussurrava a denti stretti poche, semplici, efficaci parole e però faceva tantissimi, rumorosissimi, fatti – , invece di scappare nel Paese dei Balocchi, è già con la testa sotto. Si sorprende e si crogiola anche nelle nuove attenzioni: “Non so se Nadal, Federer e gli altri apprezzano ancora tutte queste cose da parte della gente e dei media, ma io non sono abituato”.
Ma, da bravo ragazzo dei nostri monti, non dimentica le sue radici e i suoi principi. Così, questa settimana gioca nel Challenger di Ortisei, nel torneo di casa, quello che sognava di giocare da piccino, dove ha preso un impegno. E chi se ne frega dei soldi che ha appena guadagnato in un colpo solo, 372.000 dollari, che sono più del montepremi della sua sia pur breve fino al via del torneo, 274.470, chi se ne frega del record di più giovane italiano di sempre fra i top 100, al numero 95, chi se ne frega del secondo “top 20” che ha battuto in poche settimane (da Monfils ad Anversa a De Minaur a Milano), chi se ne frega delle attenzioni, delle interviste e della improvvisa popolarità. Fra due settimane lui non sarà a far festa a Madrid, si chiuderà a Bordighera col suo Mastro Geppetto, Riccardo Piatti, per sistemare e riaggiustare, livellare e aggiungere, smussare e abbellire questo suo fantastico apparto tennistico che ha preso a pallate anche il numero 18 del mondo, l’afflittissimo Alex de Minaur, battuto per la seconda stagione di fila sotto il traguardo delle Next Gen Finals. “E io non sono abituato che mi strappino la racchetta dalle mani”. Parola di diavolo ufficiale, bypassato da un diavoletto rosso. Che, finalmente, la cicogna ha lasciato di qua delle Alpi.