Se n’è andato a 75 anni Giampiero Galeazzi, travolto da una malattia che si portava dietro da un po’ e che era figlia di se stesso, della sua voglia di vita. Con lui se ne va una fetta di spensieratezza, di un giornalismo sportivo ilare e giocondo, vero, diretto, appassionato, ma insieme autorevole e pungente, una figura di cronista d’attacco che purtroppo non c’è più, un centravanti del nostro mestiere.
Nessuno poteva resistere all’allegria e alla capacità di sdrammatizzare di “Bisteccone”, il soprannome che gli aveva affibbiato il collega Gilberto Evangelisti che lo aveva assunto alla RAI: per altri sarebbe stato pesantissimo ma lui lo indossava con autoironia, come souvenir della grande passione per il cibo, con la forza di una spiccata personalità.
Giocava col suo personaggio, ma non eccedeva, suonava autentico, non lo banalizzava mai, come qualcuno erroneamente faceva, aveva creato un modo convenevole di fare giornalismo che coinvolgeva e non disturbava. Limite che invece i suoi emuli superano fin troppo spesso nel difficile equilibrio che Giampiero, alto e grosso, e pesante – diciamolo – come mole, non era mai pesante e greve come ruolo.
Raccontava gustosissime barzellette, che accompagnava con una mimica ugualmente spassosa. Scherzava spesso, qualcuno non capiva e lo sottovalutava, qualcun altro non gli credeva quando proclamava col suo vocione che, ovunque andasse, catalizzava subito l’attenzione: “Sono laureato in Economia con una tesi su Statistica”. Ma era verissimo. Così come quando decantava gli allori sportivi nel canottaggio: quand’era bellissimo ed aitante, aveva vinto il campionato italiano nel singolo nel 1967 e nel doppio nel 1968, quando partecipò alle selezioni per l’Olimpiade di Città del Messico, nel nome del padre che s’era aggiudicato gli Europei nel “due senza”.
Una passione sincera e intima che lo portò a raccontare in modo indimenticabile l’oro olimpico dei fratelli Abbagnale ai Giochi di Seul 1988: come ci fosse anche lui a vogare con loro, trascinò e coinvolse l’Italia, entrando nell’hit parade delle migliori telecronache sportive di sempre della nostra storia. Sicuramente la più appassionante. Esattamente come doveva essere quella storia di quello sport specifico che pochissimi conoscevano.
Giampiero amò moltissimo anche il tennis, irruppe con la sua leggerezza, mai ingombrante, sulla mitica terra rossa del mitico stadio delle Statue (oggi Nicola Pietrangeli): ci regalò in diretta le impressioni da vicinissimo, quasi alitasse sul collo di giocatori, staff, e dirigenti, e poi ci fece ascoltare le parole dei mitici Panatta, Barazzutti, Bertolucci e Zugarelli, parole affannate quanto le sue.
Nessuno sapeva resistere alla sua richiesta e al suo microfono. Perché si faceva amare. Ovunque andasse, di qualsiasi argomento trattasse, che fosse l’incontro fra Gorvaciov e Reegan a Reykjavik dell’86 come la favola del divino Maradona che faceva impazzire Napoli, come la passerella di San Remo, dove lo volle Pippo Baudo nel 1996, quando prestò la inconfondibile voce a Mr. Swackhammer, l’antagonista principale in Space Jam.
Giampiero portava avanti le sue idee e le sue passioni, insieme al suo personalissimo modo di fare giornalismo, compresa la passione per la sua “Lazietta”. Lo faceva con quel sorriso dolce e scanzonato, con quell’aria da romano de Roma di chi sa e ha visto tutto, quello che non puoi imbrogliare mai. Di sicuro si farà tanti amici anche lì dov’è adesso. Riposa in pace.
Vincenzo Martucci (Testo e foto tratti da supertennis.tv)