Non è mai facile fare coming out. Ancora nel 2018. Melissa Rose Reid, 31enne professionista di golf, ha segnato una nuova strada: ha annunciato sul suo sito web che si unisce all’Atleta Ally come ambasciatrice nella lotta per l’uguaglianza e l’inclusione nello sport, per “smantellare i sistemi di oppressione che isolano, escludono e mettono in pericolo le persone LGBTQ”.
La Lpga, il circuito pro del golf donne, è sicuramente frequentato da altre atlete gay, ma la bella ragazza inglese, favorita anche dai fortissimi media del suo paese e dai 6 titoli pro vinti, ha trovato la forza per uscire allo scoperto, in prima persona:
“Il Tour è una comunità molto accogliente, ed è raro che qualcuno abbia un problema con la sessualità altro. Ma in alcuni paesi in cui giochiamo essere gay è ancora illegale o disapprovato. Inoltre, ci sono molti sponsor dominati dagli uomini che cercano determinati tipi di giocatori, quindi, nella mia vita personale, non sono potuta essere così aperta come arei voluto. Non mi sono successe cose particolari, ma devo stare sempre attenta all’ambiente in cui mi trovo quando porto con me la mia ragazza a cene o a quale premio”.
“Ho dovuto proteggere per tanto tempo la mia sessualità”
La motivazione di Mel è davvero importante: “È fondamentale che le persone siano se stesse, amare qualcuno che non è socialmente corretto non le sminuisce di certo come esseri umani. Per me è sempre stato importante lottare per l’eguaglianza, sono stata fortunata a poter sfruttare una piattaforma per raggiungere tante gente e sfruttare questa situazione. Vorrei vedere più donne inserite nell’organizzazione del golf, anche come spettatrici delle nostre gare e sostenitrici dello sport al femminile in generale. Vorrei anche vedere più pubblicità di atlete donne, perché io ho dovuto proteggere per tanto tempo la mia sessualità per aiutare la carriera e garantirmi più sponsor. Ma poi ho iniziato a chiedermi perché queste aziende volevano sponsorizzarmi e non ho più voluto farmi rappresentare da quelle che non avrebbero voluto che mostrassi la vera me stessa”.
Lo slogan è da autentica leader: “Nel mondo siamo tutti unici, avete una sola vita, quindi siate la versione migliore di voi stessi per essere orgogliosi di chi siete. Sarete più felici. Ho appena raggiunto un punto della mia vita nel quale mi sento autenticamente me stessa. Se la mia storia può aiutare anche sola una persona sono ancor più convinta che la mia è una causa giusta”.
Nel maggio del 2012, la Reid è stata colpita da un dramma familiare, la madre, Joy, è rimasta uccisa in un incidente d’auto mentre cercava di raggiungerla a un torneo a Monaco di Baviera. E, malgrado fosse rientrata in fretta sul tour, non è più riuscita a raggiungere grandi risultati. Nel settembre 2015, aveva raccontata o alla tv Usa, Espn: “La mia vita è diventata un casino, non la stavo davvero affrontando, mi stavo soprattutto ribellando. Mi distraevo con le feste, stavo premendo il pulsante dell’autodistruzione e cercando sempre di stare con tanta gente, ero sempre più sola. Mi piacerebbe proprio dirigere una trasmissione tv in cui parlare con atleti che hanno attraversato avversità come me”.
Dopo tre partecipazioni alla Solheim Cup, la Reid è diventata una paladina delle più deboli: “Ho delle colleghe che sono state fuori dal Tour per dieci anni e hanno un secondo lavoro. Il sistema distribuisce 30 carte l’anno che per sono una rapina alla luce del sole perché, in realtà, non ci sono eventi. Mi hanno assicurato che l’anno prossimo ci saranno, vedremo. Sarei felice di mangiarmi le mie parole. Ma, per esempio, nella Solheim Cup, ci sarà gente che ha giocato troppo poco negli ultimi due anni. E questo è assolutamente ridicolo. In realtà, penso che dovrebbero esserci 100 giocatrici a torneo, con 50 tagli, basta avere 126 o 150 partecipanti, oggi il 70° posto vale 200 sterline, che non copre nemmeno il noleggio auto”.