Serena Williams che firma l’albo d’oro del torneo di Auckland è un’impresa che legittima i sorrisi felici della Tyson del tennis. “The Queen”, la regina, è tornata al successo in un torneo dall’1 settembre 2017, quand’è diventata mamma della deliziosa figlioletta di due anni e mezzo, Alexis Olympia Ohanian Jr., che sbandiera orgogliosamente fra le braccia.
Ha donato l’intero primo premio di 43mila dollari australiani (38mila euro) alle vittime della tragedia ambientale che si sta verificando in Australia, dimostrando ancora una volta un cuore grande. E, soprattutto, ha intitolato l’ennesima pietra miliare nella storia del tennis, aggiudicandosi un torneo Wta in quattro decadi diverse.
Dopo i cinque degli anni ‘90, i trenta del 2000 e i trentasette del 2010. Da Parigi indoor del febbraio 1999 ad Auckland del gennaio 2020, dal 6-2 3-6 7-6 finale alla francese Amelie Mauresmo al 6-3 6-4 alla connazionale Usa Jessica Pegula, dai 17 anni di allora ai 38 di oggi.
Che sensazione prova la afroamericana più famosa e vincente dello sport? “Sollievo”, specifica lei, senza mezze parole. “Mi sento davvero bene! E’ passato tanto tempo dall’ultima volta che ho alzato un trofeo, mi si legge in faccia quanto sono sollevata e soddisfatta per questa finale. Per me è stato davvero importante ora, voglio solo costruirci sopra: è un passo avanti verso il prossimo obiettivo”.
Che tutti conoscono benissimo, visto che è a quota 23 Slam, a una sola tacca dal record di 24 di Margaret Smith Court e, dagli Australian Open 2017, quando conquistò il suo ultimo Slam, incinta della sua bimba, è stata bocciata in finale a Wimbledon e agli Us Open sia 2018 che 2019. Prigioniera di una maledizione, ma fortissimamente vogliosa di sfatarla sin degli Australian Open di Melbourne del 20 gennaio.
Gli atleti tutti, soprattutto i campioni pensano subito al prossimo obiettivo, ripromettendosi di sfogliare l’album dei successi a carriera finita. Ma nel caso di Serena, il bilancio va fatto prima, per onorare questo suo record di successi in quattro decadi diverse. Strada facendo, Serena ha infatti mandato in pensione fior fior di avversarie, dalla Mauresmo, appunto, di quella sua prima, lontanissima affermazione, a Steffi Graf, da Martina Hingis a Lindsay Davenport, da Kim Clijsters a Jennifer Capriati, da Justine Henin alle tante russe che ha silenziato, a cominciare da Maria Sharapova, per continuare con le serbe Ana Ivanovic e Jelena Jankovic, e quindi la bielorussa Victoria Azarenka.
Strada facendo, ha salutato l’amica del cuore Caroline Wozniacki, ha lottato contro i grandi difensori Angelique Kerber e Simona Halep, ha neutralizzato sua sorella Venus, ha bocciato le possibili eredi Madison Keys e Sloane Stephens, e ora sta cercando l’antidoto contro una generazione di ventenni molto più complete, come Naomi Osaka e Bianca Andreescu (vincitrice agli ultimi Us Open e assente ai prossimi Australian Open).
Finché non sfaterà il tabù dei 24 titoli Slam, e forse anche dopo, non riuscirà a convincere di essere stata la più grande tennista di sempre, superiore a Martina Navratilova e Steffi Graf. Ma di sicuro, con questo titolo ad Auckland, merita l’ennesimo applauso da parte dello sport tutto.
La sua smisurata passione unita alle impensabili motivazioni le hanno permesso di superare i limiti di un fisico non propriamente ideale per un’atleta, peraltro travagliato da tanti gravi problemi. Esempio nell’esempio. Brava, Serena, campionessa di quattro decadi. Regina per sempre.
Tratto da supertennis.tv
Foto del libro del nostro direttore Vincenzo Martucci