Jannik Sinner non è soltanto il presente del tennis italiano, ma soprattutto il futuro considerati i 22 anni sulle spalle e una carriera ancora tutta da scoprire dopo la vittoria nella Coppa Davis e agli Australian Open. Gli occhi di tutti gli appassionati tricolori e non solo sono puntati su di lui con l’atleta di Sesto Pusteria pronto a stupire ancora, soprattutto nell’anno delle Olimpiadi Estive di Parigi.
Come spiegato sia dal presidente del Coni Giovanni Malagò che da quella della Federtennis Angelo Binaghi la medaglia a cinque cerchi sarebbe un regalo particolarmente gradito dal Bel Paese che, a dispetto dei trionfi che abbiamo ottenuto negli Anni Settanta e a partire dalla fine degli Anni Dieci del Duemila, ha centrato soltanto una volta il podio nella massima rassegna sportiva. Un po’ per via dello stop imposto al tennis a partire da Amsterdam 1928 sino a Seul 1988 per via della questione professionismo, un po’ perché le Olimpiadi sono state spesso snobbate dai grandi atleti, più attratti dai tornei del Grande Slam che dalla bandiera del CIO.
In queste ultime settimane abbiamo quindi sentito ripetere dai principali vertici nazionali il nome di Uberto Luigi de Morpurgo, medaglia di bronzo alle Olimpiadi Estive di Parigi nel 1924 e soprattutto unico italiano a riuscire nell’impresa richiesta a Sinner. A cent’anni di distanza la sua storia desta ancora grande curiosità complice le sue origini nobiliari, ma al tempo stesso decisamente lontane dalla penisola. De Morburgo nasce il 12 gennaio 1896 a Trieste in una città ancora simbolo dell’Impero Austro-Ungarico, ma soprattutto porta sull’Adriatico per l’imperatore Francesco Giuseppe.
Un capoluogo decisamente cosmopolita dove grandi scrittori come Italo Schmidt, Umberto Saba e James Joyce si possono incrociare e magari scambiarsi qualche opinione sulle rispettive opere dando una svolta alla letteratura mondiale. Lì è molto più facile sentirsi “cittadini del mondo” considerata la mescolanza fra tedeschi, italiani, cechi e croati. Uberto è l’esempio di tutto ciò: madre inglese con passaporto ceco, padre triestino di religione ebraica ed erede di una famiglia nobiliare, titolare di una baronia.
De Morpurgo prende sul serio la propria appartenenza all’Impero Austro-Ungarico tanto da rappresentarlo anche a livello agonistico sino al 1919 quando il Trattato di Versailles destina Trieste all’Italia, vincitrice del primo conflitto mondiale. Tuttavia la sua adolescenza trascorre in Gran Bretagna, a Oxford, dove si reca per studiare e nel 1911 vince il titolo juniores d’Inghilterra.
“È un uomo grande, longilineo e ha molta forza. Lui ha un servizio incredibile, di grande velocità, ma poco controllo, sulla prima palla e un kick esageratissimo sulla seconda, di una contorsione così estrema da logorare perfino la sua grande struttura – scrive l’americano Bill Tilden nel quindicesimo capitolo del suo libro “The Art of Lawn Tennis” -. Il suo gioco da fondo è fatto da colpi piatti che mancano di velocità e precisione, per permettergli di ottenere il massimo beneficio dal suo eccellente attacco alla rete. Il suo gioco di volo è molto buono, grazie alla sua grande stazza. Il suo smash, come il servizio, è potente ma irregolare. Sfortunatamente è molto lento con i piedi e così perde molto del vantaggio che acquista con la sua grande corporatura. Manca un po’ di confidenza, ma quella dovrebbe venire con l’esperienza”.
Parigi entra a quel punto nella vita del “Barone” nel 1915 quando si trasferisce per gli studi universitari per poi tornare protagonista nove anni dopo, questa volta con la casacca dell’Italia. Sui campi del Roland Garros al primo turno batte il lussemburghese Camille Wolff lasciandogli soltanto tre game, mentre al secondo supera lo svizzero Pablo Debran per 6-2 6-3 6-3. Al terzo si sbarazza in 6-0 6-2 6-4 il greco Avgoustos Zerlentis, mentre il vero ostacolo arriva agli ottavi quando si trova di fronte il belga Jean Washer che lo pone di fronte a una vera e propria battaglia agonistica vinta in 2-6, 6-4, 1-6, 6-4, 8-6 dopo una sfida decisa al tie-break.
Nei quarti la sfida è decisamente più agevole con il giapponese Takeichi Harada, sconfitto per 6-4 6-1 6-1, ma purtroppo la corsa si ferma a un passo dalla finale quando il futuro campione olimpico vince per 6-3 3-6 6-1 6-4 al termine di un’altra battaglia epica. De Morpurgo non si arrende e nella sfida per il bronzo si trova di fronte Jean Borotra, vincitore dell’ultimo Roland Garros nonché padrone di casa. Pensare di imporsi nel cortile di casa del titolare dell’Open di Francia è quasi impossibile, ma il triestino esce ancora una volta alla lunga: 1-6, 6-1, 8-6, 4-6, 7-5 per una medaglia che diventa un unicum.
Nel suo prosieguo della carriera, Uberto infila nel 1925 una finale di doppio misto a Wimbledon persa contro la coppia Borotra e Suzanne Lenglen, nel 1928 un quarto di finale sull’amata erba inglese, nel 1930 una semifinale al Roland Garros dove si arrende a Henri Cochet che diventa la sua bestia nera sulla terra rossa come confermato dalla vittoria mancata quell’anno a Montecarlo e dalla doppia finale persa agli Internazionali d’Italia nel singolare e nel doppio a cui va aggiunto il trionfo in doppio misto.
Nonostante le origini così particolari, De Morpurgo da sempre tutto per l’Italia prendendo parte per undici edizioni consecutive all’International Lawn Tennis Challenge, antenata della Coppa Davis, raggiungendo l’atto decisivo nel 1928 e nel 1940 e in entrambi i casi perdendo per 4-1 contro gli Stati Uniti, ma portando a casa l’unico punto per gli azzurri.
Uberto Luigi De Morpurgo si spegnerà a Ginevra nel 1961 dopo esser diventato un simbolo dello sport italiano in pieno periodo fascista, nonostante la religione lo avrebbe ben presto perseguitato in un paese infettato da un morbo ben più pericoloso di qualsiasi avversario. Ciò non gli impedirà di esser inserito nel 1991 nell’ Hall of Fame degli sportivi internazionali ebrei, ma soprattutto di diventare un esempio per Jannik Sinner, deciso a cent’anni di distanza di riportare il tricolore sul podio di Parigi.