(Immagine di copertina © The Brussels Times)
Billy: “Che effetto fa?”
Pat: “Beh, fa l’effetto che sono cambiati i tempi adesso”
Billy: “I tempi può darsi, ma non io”
Pat Garrett and Billy the Kid (1973) di David Samuel Peckinpah
Basta questa citazione per riassumere il vissuto che ogni tifoso dell’Union St. Gilloise custodisce nella più profonda intimità. L’Union St. Gilloise non è un club con il quale instaurare un rapporto esclusivo, fideistico. L’Union St. Gilloise è un pretesto per vivere entusiasticamente il proprio quartiere, per incontrare qualcuno che non si vede da un po’ di tempo davanti ad un bel boccale traboccante di birra ambrata. Non importa se dopo una sconfitta in Division 3 o mentre si fa la fila in biglietteria per assistere alla Storia: il ritorno degli ottavi di finale di Europa League, cullando il sogno di bussare, dopo decenni passati sotto cieli ingombri di nubi scure, alle porte della Casa del Calcio Europeo di Nyon, il paradiso a quelle latitudini, per il sorteggio dei quarti di finale di una competizione che non potrà mai essere bollata come minore.
Espressione pallonara di un sobborgo multiculturale di Bruxelles, il quartiere di Saint-Gilles, amato dagli artisti e incensato dalla gente del posto, la Royale Union Saint-Gilloise, nota ormai come il “Chievo belga” e non solo per l’affinità cromatica, aveva già stupito l’Europa chiudendo lo scorso campionato in testa alla classifica davanti a Bruges e Anderlecht, soccombendo poi ai playoff contro i “Blauw en Zwart” di De Ketelaere. Approdato in Europa League, l’Union Saint-Gilloise ha dato vita lo scorso 9 marzo ad una pirotecnica gara di andata degli ottavi di finale: 3-3 contro l’Union Berlin.
Un esordio assoluto nelle competizioni Uefa. L’Union è sì un club storico, è vecchio quanto la Juventus, e dal glorioso passato: parliamo però dei primi del Novecento. Allora conquistò ben undici scudetti ma non esisteva ancora la Coppa dei Campioni, al massimo si partecipava alla Coppa delle Fiere, come avvenuto nel 1960 quando eliminò ai quarti la Roma. Nel 1965 l’ultima apparizione in Europa, prima di una china vertiginosa che farà impantanare il club nel purgatorio delle serie minori per 45 anni.
Nel 2018, però, l’inizio, prendendo in prestito il testo di un autentico capolavoro, della scalata verso il paradiso. Il club viene rilevato da Tony Bloom, giocatore di poker professionista e già proprietario del Brighton del nostro De Zerbi, alla ricerca di una realtà genuina in cui investire. Nel giro di due stagioni, grazie alla forza delle idee e coadiuvato dallo storico socio Alex Muzio, la nuova dirigenza porta il “Joseph Marien”, la casa dell’USG, a ospitare le corazzate della Jupiter League. Uno stadio noto agli appassionati per avere le tribune scavate nelle colline del Parc Duden, uno dei polmoni verdi della capitale belga.
Il metodo con cui Mister Bloom ha ricostruito l’USG è noto come “Moneyball”, dal film con Brad Pitt che racconta la storia dell’Oakland Athletics, squadra di baseball che raggiunse la vittoria grazie ad una campagna acquisti dai criteri “scientifici”. Dagli Expected goals alla percentuale di passaggi riusciti, tonnellate di statistiche vagliate per selezionare i calciatori più adatti. Mesi di riflessioni che passano attraverso colloqui con la famiglia, i mentori e persino il monitoraggio dei social alla ricerca del profilo perfetto.
Il risultato è un gruppo composto da calciatori di 14 nazionalità diverse. Oggi la rosa comprende un portiere lussemburghese, un centrale nipponico, un altro marocchino; qualche spagnolo, un centrocampista malgascio, un 9 nigeriano e uno svedese; Teddy Teuma, il capitano, è di Malta. Valore della rosa? Poco più di 37 milioni di euro contro i 175,40 mln del Club Brugge e i quasi 100 milioni del Genk. Un modello questo imitato la passata stagione anche dall’allora neopromosso Venezia di Duncan Niederauer ma con esiti ampiamente deludenti.
L’impresa è stata firmata da un allenatore di origini italiane, Felice Mazzù, belga nato da un minatore italiano emigrato a Charleroi. Come suo padre, eccolo uscire a riveder le stelle coperto dalla fuliggine di quella infernale miniera che sono le serie minori. Risultati che gli sono valsi la chiamata dall’Anderlecht, mentre sulla panchina dell’Union adesso siede il giovane Karel Geraerts, una carriera da centrocampista spesa in Belgio prima del ritiro nel 2017.
Dai tifosi, “Les Unionistes” come li chiamano da quelle parti, mai un insulto o un coro razzista. La violenza è bandita. Si segue l’USG per il gusto di bere una birra in compagnia: quella di Cantillon giurano sia davvero buonissima! La squadra, al triplice fischio, va sempre a ringraziare sotto il settore dei tifosi più caldi e tra di loro trova posto anche un supporter decisamente particolare: Stefano Righi, alias Johnson Righeira, che insieme a Stefano Rota spopolava negli anni ’80 con le varie “Vamos a la playa”, “No tengo dinero”, fino a “L’estate sta finendo”. Righi ha scoperto casualmente l’Union nel 2012, durante un viaggio a Bruxelles, appassionandosi alla realtà della squadra. Tanto che, come da lui stesso confessato, ancora oggi parte spesso da Torino per seguirne le partite, trasferte europee incluse.