La condanna sportiva “definitiva” di Alex Schwazer ad altri 8 anni di squalifica (dopo i 3 anni e 9 mesi per la positività all’epo nel 2012), stavolta causata dalle tracce di testosterone nell’organismo, rimane argomento di polemica da parte del marciatore, del suo staff e di una parte dei mezzi di informazione. Molti di questi ultimi nemmeno si pongono il dubbio, ma sparano direttamente la tesi dell’innocenza di Schwazer, vittima di un cosiddetto complotto. Fermo restando il suo diritto a dire quello che vuole, esiste comunque un limite alle tesi del complotto, quello dei riferimenti a dati precisi, procedure e regole.Ed è su questi aspetti che è necessario fissare alcuni punti in modo da constatare che la squalifica è giusta e che non ci sono altre strade da percorrere per Schwazer, anche nel caso lui venga assolto nel processo in sede penale a Bolzano. Anche se, per ipotesi, dovessero spuntare fatti nuovi da questo processo, che non si è ancora concluso, sarebbe impossibile riaprire il processo sportivo, sulla base dei regolamenti, non sulle convinzioni di questo o quel giornalista o di chiunque altro voglia sostenere la riammissione di Schwazer alle gare.
IL CONTROLLO DELL’1 GENNAIO 2016
Cominciamo allora dal controllo incriminato, quello dell’1 gennaio 2016, fuori gara perché in quel momento Schwazer aveva ripreso gli allenamenti ma non aveva ancora partecipato ad alcuna gara. Il controllo fa parte di quelli che concorrono al passaporto biologico di ciascun atleta. Un valore anomalo di testosterone risulterà proprio dall’analisi del campione di urina prelevato l’1 gennaio. L’anomalia, di per sé, non significa automaticamente che l’atleta si sia dopato. Se il valore supera certi limiti, previsti dalle norme antidoping, si procede direttamente con i successivi passi che portano alla squalifica. Altrimenti, si registra il valore e lo si tiene in memoria in attesa degli altri controlli, che devono essere almeno 6 per il passaporto biologico, e alla fine si verifica se non ci sia stato qualche sbalzo significativo rispetto alla media. In quest’ultimo caso, si procede con l’analisi del campione anomalo per stabilire, come per il testosterone, se quello trovato nell’urina sia prodotto naturalmente dal corpo (endogeno) o se sia causato da sostanze introdotte nel corpo (esogeno). Nel caso il testosterone sia esogeno, si procede con la squalifica. Ed è quello che è accaduto per Schwazer. Il 22 giugno 2016 la Wada (l’Agenzia mondiale antidoping) comunica alla Federazione italiana di atletica leggera la positività di Schwazer.
La prima tesi sul complotto poggiava sul fatto che non si capiva perché fosse passato tanto tempo dal controllo dell’1 gennaio fino all’annuncio della positività, in particolare che questa fosse stata annunciata dopo che Schwazer aveva vinto la gara del Mondiale a squadre, disputato a Roma l’8 maggio, facendo intendere che proprio quella vittoria avesse scatenato il complotto perché il marciatore aveva dimostrato di essere il più forte e quindi il favorito per l’Olimpiade di Rio de Janeiro, cosa che disturbava molti nel mondo dell’atletica, sia per i sospetti sullo stesso Schwazer, sia perché ad allenarlo c’era Sandro Donati, poco simpatico alla nomenclatura ufficiale (e questa esperienza con Schwazer la ritengo l’unica sbagliata della sua carriera). Pur volendo ammettere l’antipatia e i sospetti, il punto è un altro: chi sostiene la tesi della “stranezza” del ritardo di 6 mesi nell’accertamento della positività al testosterone ignora o fa finta di ignorare una regola fondamentale del sistema che prevede il passaporto biologico. I controlli devono essere 6, ma ALMENO UNO deve essere effettuato IN GARA. Finché non si completa la serie di controlli non è possibile procedere con l’analisi del campione relativo ai valori anomali. Il Mondiale a squadre l’8 maggio è LA PRIMA GARA alla quale partecipa Schwazer dopo la squalifica del 2012. Fino a quel momento, perciò, è vietato procedere all’accertamento più approfondito del campione anomalo, perché manca il controllo in gara. Dopo l’8 maggio scatta la procedura. E allora, l’insistere su una tesi di complotto basata sull’inspiegabile ritardo di 6 mesi è a sua volta sospetto, perché non si tratta di un ritardo e chiunque nel mondo dell’atletica lo sa benissimo.
LE PROVETTE
Un piccolo passo indietro per avere un quadro più preciso della procedura serve anche per capire come l’altra polemica sulle differenze di Dna fra i flaconi A e B del controllo antidoping sia evanescente. Dopo aver acquisito i risultati del controllo in gara e dopo aver accertato che c’è un valore anomalo, si deve decidere se procedere con le analisi. Il passaporto biologico, a questo punto, viene esaminato in strutture chiamate Athlete Passport Management Units (Apmu), composte da esperti. Ogni Federazione internazionale ne ha una di riferimento, quella con cui è convenzionata la Iaaf si trova in Canada ed è lì che si fa la verifica con l’esame della spettrometria di massa. Gli esperti, dopo questo esame, stabiliscono se il passaporto biologico dell’atleta in questione è regolare o se è sbagliato. Per Schwazer si stabilisce l’anormalità e a quel punto si va a verificare se il testosterone trovato nel controllo dell’1 gennaio è endogeno o esogeno. Per Schwazer l’esame del campione A dà come risultato la seconda ipotesi: esogeno, introdotto dall’esterno, non prodotto naturalmente dal corpo dell’atleta. Si prosegue con la controanalisi, da effettuare entro 30 giorni alla presenza dell’atleta e del suo perito, e anche dal campione B dell’urina di Schwazer risulta che il testosterone è esogeno. E in questo momento scatta la squalifica.
Uno degli argomenti sostenuti da chi ritiene Schwazer innocente è che il livello di testosterone sia di poco sopra il limite previsto dalle norme antidoping, si parla di 18,7 ng di testosterone a fronte dei 16 ng massimi ammessi. Ma anche in questo caso il punto è un altro, e qualunque professionista del mondo dell’atletica deve saperlo: il testosterone esogeno è COMUNQUE proibito, quale che sia la quantità, perché è il segnale che la sostanza proviene dall’esterno del corpo.
Ma le polemiche non finiscono qui, perché la difesa di Schwazer, a suo sostegno, porta i risultati delle analisi dei Carabinieri del Ris (Reparti investigazioni scientifiche) nell’ambito del processo penale a Bolzano. I Ris sostengono che nei due flaconi delle urine ci siano differenze significative di Dna e che, in particolare nel campione B ci siano 1200 picogrammi per microlitro (300 nel campione A), molto superiore alla quantità media rilevata nella popolazione (100). Di qui il sospetto che l’urina di Schwazer sia stata manipolata, tesi però non sostenuta dal Ris, che si è limitato a presentare l’anomalia dei valori di Dna differenti. Inoltre, fatto importante, nei due campioni non è stato rilevato Dna differente, l’unico trovato è quello di Schwazer ed è quello che porta al testosterone esogeno.
Ma c’è un altro punto fondamentale nella questione delle differenze di Dna nei due campioni che va contro la tesi della stranezza dei differenti valori fra A e B. Va detto, prima di tutto, che l’urina, in sé, non ha Dna. Il Dna che se ne ricava è quello che si trova nelle “cellule morte” del corpo umano che vanno a finire nell’urina. Quando si fa il prelievo per il controllo antidoping, l’atleta versa l’urina in un contenitore, dal quale l’urina viene versata nei due flaconi A e B. Le cellule morte tendono a depositarsi sul fondo del contenitore, per cui quando si versa l’urina nel flacone A è facile che ce ne siano meno di quelle che vanno a finire nel flacone B, visto che la maggiorparte si trova sul fondo e viene scaricata insieme all’ultima urina rimasta nel contenitore e destinata appunto al flacone B. Perciò, la differenza di quantità di Dna fra i due campioni, anche rilevante, è un fatto assolutamente normale. Il Ris, allora, sbaglia? Il punto non è questo. Il Ris non procede al controllo antidoping, il Ris vede che, nell’urina di una stessa persona, distribuita in due flaconi, la quantità di Dna è diversa e dice che è anomalo che succeda. Quindi, quella che può apparire come una prova evidente della manipolazione dei campioni di urina non è altro che qualcosa di normale e naturale.
CONTESTAZIONI RITARDATE
Il fatto che non ci siano state manipolazioni è stato sancito dal Tas (Tribunale arbitrale dello sport) nella seduta speciale tenuta a Rio de Janeiro, prima dell’Olimpiade 2016, su ricorso di Schwazer. In quella occasione, fu sostenuta la tesi della manipolazione, ma senza portare alcuna prova, tant’è che il ricorso al Tribunale Federale di Losanna si è basato su un presunto “fatto nuovo” venuto fuori nel processo penale a Bolzano, proprio quella concentrazione anomala di Dna nei due campioni verificata dal Ris, quindi successivamente alla seduta del Tas nel 2016. In quel momento, la difesa di Schwazer non fu in grado di portare alcuna prova, testimonianza o analisi per sostenere l’ipotesi della manipolazione. Né poteva invocare un fatto nuovo e ottenere la sospensione del processo davanti al Tas per darle il tempo di portare le prove del “fatto nuovo”. Sapendo di non poter portare alcuna prova della invocata manipolazione, accettò il rito abbreviato. E il Tribunale federale di Losanna, infatti, dice chiaramente che ora non può invocare il rito allungato dopo essere stato d’accordo su quello abbreviato, che serviva in quel momento per permettere, in caso di accoglimento del ricorso, a Schwazer di partecipare all’Olimpiade di Rio. Ecco il testo del Tribunale federale nella parte della sentenza relativa alla mancata richiesta di presentazione di prove della manipolazione sostenuta dalla difesa: “Egli non spiega perché non avrebbe potuto chiedere ulteriori misure peritali durante la procedura arbitrale davanti al Tas al fine di provare, con le denunciate anomalie, la pretesa manipolazione”. E, come già detto, non l’ha fatto perché non aveva queste prove e non voleva aspettare che potessero venir fuori, magari proprio dal processo a Bolzano, perché aveva fretta di essere assolto e partecipare all’Olimpiade di Rio. E il Tribunale federale colpisce nel segno anche qui perché, dopo le considerazioni appena riportate, aggiunge a proposito della procedura accelerata: “Ma questa ha unicamente potuto essere adottata con l’accordo delle parti e una procedura di revisione non può essere utilizzata per ovviare posteriormente a eventuali limitazioni causate dalla procedura scelta dalle parti o a ottenere una perizia effettuata da un ben preciso perito”.
In pratica: accetti il rito abbreviato, che ti pone alcuni limiti per future contestazioni, e poi pretendi di fare ugualmente quello che sapevi di non poter più fare nel momento stesso in cui hai accettato quella procedura.
Tanto per capirsi meglio. Vorrei ricordare il caso di Filippo Magnini, completamente diverso nella sostanza da quello di Schwazer, perché il due volte campione mondiale di nuoto nei 100 stile libero non è mai stato trovato positivo ai controlli, ma utile per quanto riguarda alcuni aspetti della procedura del processo sportivo paragonabili a quello di Schwazer. Magnini fu squalificato per 4 anni nel 2018 perché accusato di semplice frequentazione con una persona invischiata nel traffico di sostanze dopanti, senza che sia mai stata provata la sua “partecipazione” all’atto illegale. Anche lui dovette subire un processo penale. Magnini quasi sicuramente sarebbe stato assolto dal Tas perché quell’accusa si rivelò inconsistente, ma preferì comunque aspettare la fine del processo penale e l’assoluzione per poi andare al Tas con in mano anche l’arma formidabile dell’assoluzione penale per chiedere l’annullamento della squalifica sportiva e ottenerlo, uscendone così pulito su tutti i campi. Certo, ha potuto farlo perché non aveva fretta di andare al Tas, visto che praticamente aveva già smesso di gareggiare, ma resta il dato di principio: l’assoluzione nel processo penale può essere considerata un “fatto nuovo”, anche con le motivazioni contenute nella sentenza, che ha dato un’ulteriore spinta per il diverso parere dei giudici del Tas rispetto a quelli che avevano condannato Magnini in primo grado e in appello nei processi sportivi. Ripeto: Magnini avrebbe dimostrato la sua innocenza anche senza mettere sul piatto l’assoluzione nel processo penale, ma il fatto che abbia potuto aggiungerla alle sue argomentazioni difensive fa capire ancor di più gli errori procedurali di Schwazer.
LA FINE DI TUTTO
Ciò nonostante, Schwazer sostiene ancora che il suo diritto di difesa, nella seduta del Tas a Rio, “è stato calpestato”, ma non c’è prova di manipolazione dei campioni, né il Ris ha mai sostenuto la manomissione dei flaconi, le differenze di concentrazione di Dna nei due campioni sono normali e il campione B è stato aperto davanti al suo perito che se lo avesse trovato manomesso avrebbe dovuto chiedere l’invalidazione delle controanalisi in quel momento stesso, che l’unico Dna trovato nei campioni è quello di Schwazer. E, ricordando l’esempio dell’assoluzione di Magnini, per Schwazer questa possibilità non esiste più perché, anche se ottenesse l’assoluzione nel processo penale, non potrebbe più usarla come “fatto nuovo” nella giurisdizione sportiva, nel Tas o nel Tribunale Federale. Nello sport la sentenza per lui è definitiva. Schwazer insiste anche sulla perizia da effettuare su 50 atleti, sempre nell’ambito del processo penale a Bolzano, per confermare che la differenza di concentrazione di Dna nell’urina, come accaduto per lui, non è normale. Ma, effettuando la procedura come nei controlli antidoping, con l’urina versata prima nel flacone A, poi in quello B, con le cellule morte che tendono a posarsi sul fondo del contenitore in cui l’atleta ha versato l’urina, quindi non uniformemente nei due flaconi, si potrà anche avere qualche caso di quasi uniformità nei due campioni, ma la normalità sarà quella di una differente distribuzione. E sarebbe un’ulteriore mazzata alle tesi sostenute da Schwazer. Comunque, quella perizia, ammesso e non concesso che dia risultati secondo le aspettative di Schwazer, potrà anche avere un peso nel giudizio penale, ma non ne avrà alcuno su quello sportivo, che è chiuso definitivamente, a dispetto di chi sostiene, senza alcuna base giuridica, che ci sia ancora una possibilità.
Per Schwazer resterebbe l’unica possibilità di tornare in gara nell’estate del 2024, al termine della squalifica di 8 anni, nemmeno in tempo per l’Olimpiade di Parigi. Da qualche parte è stata prospettata anche l’ipotesi di una “grazia” concessa dal Comitato olimpico internazionale. Ma in tempi nei quali una intera nazione come la Russia viene squalificata per doping ed esclusa da Olimpiadi e Mondiali, con una campionessa come la Isinbayeva, mai sospettata di doping, ingiustamente esclusa da Rio 2016, davvero si può pensare di concedere la grazia a chi, comunque, ha già violato le regole sportive riempiendosi di epo e venendo squalificato per quasi 4 anni nel 2012?