Il tennista che visse due volte ha fatto tris. Juan Martin Del Potro, il gigante buono con la forza di Maciste e lo sguardo e la vocina dolci come un bambino che si fa amare da tutti, avversari compresi, ha toccato per la terza volta il numero 4 del mondo. C’era riuscito una prima volta l’11 gennaio 2010, ma poi aveva saltato quasi tutta la stagione peri primi problemi al posso destro; c’era tornato il 27 gennaio 2014, dopo un primo intervento chirurgico al polso destro e la caduta al numero 485 della classifica; e si è ripetuto all’indomani delle semifinali del Roland Garros, dopo altre tre operazioni ai polsi, fra il marzo 2014 e il giugno 2015, quand’era scaduto addirittura al numero 1045 Atp Tour, dopo aver saltato praticamente altre due stagioni.
La sua carriera più che un calvario sembra una saga cinematografica dal successo assicurato. “La mia storia è unica, gli infortuni mi hanno ritirato giù due volte dal numero 4 del mondo. Avevo avuto la sensazione di essere un pretendente al vertice e quando invece sono quasi sparito ho smesso di lottare. Ho sofferto molto. Mi sembrava di vivere in prima persona un film tragico. Anche uscire dal letto era diventato un lavoro”. Un film che, anche nei momenti buoni, quando riesce a scendere in campo, dopo ore e ore di fisioterapia, massaggi, applicazioni e ghiaccio, si ravviva nei tratti di quel faccione triste, così espressivo, come le smorfie di sofferenza, i segni della fatica inaudita – moderno semidio condannato ad espiare chissà che peccati -, che deve portare avanti 198 centimetri d’altezza e una corporatura pesante. Povero gigante dalla potenza devastante, ma con i polsi d’argilla: è stato il primo a ribellarsi alla dittatura dei Fab Four – Federer, Nadal, Djokovic, Murray – negli Slam, strappando al Magnifico gli Us Open 2009, diventando il più pericoloso fra gli sfidanti, il più capace di esaltarsi nei grandi appuntamenti, e insieme il più sfortunato, il più amato dal pubblico. Come fotografa Roger Federer, che ci ha perso sempre in partite importanti, cui teneva moltissimo: “Delpo fa impressione in ogni cosa che fa. Da come colpisce con forza la palla e si adatta al gioco alle tante operazioni che ha subito, a come riesce ad essere competitivo con un’incredibile forza di volontà anche quando in realtà il fisico glielo impedirebbe. Quando gioca, la sua classifica non conta nulla, il suo valore è comunque molto superiore a quel che dice un numero”.
L’ultimo ritorno alla luce di “Palito”, come lo chiamavano nella sua Tandil, quand’era magro magro come un palo, sembra quello buono: “Non sapevo davvero se sarei tornato a giocare, e anche nelle mie previsioni più rosee non avrei mai pensato di tornare così tanto su. Ma ce l’ho fatta e ce la farò, con grande gioia, per quanto più tempo possibile, anche se devo continuamente preoccuparmi per i miei polsi, curarli, trattarli con attenzione, proteggerli dopo ogni allenamento e ogni partita”. Così, fra una smorfia e l’altra, Delpo sforna miracoli a raffica, spingendo forte servizio e dritto, e da qualche tempo anche il rovescio, che per un bel po’ ha risparmiato per precauzione, limitandone di molto la pericolosità. Come dimenticare gli ultimi lampi? Agli Us Open di settembre quand’ha infilato Thiem e Federer e, in semifinale, ha sognato nel primo set contro Nadal, prima di essere travolto di fisico. Poi ha chiuso l’anno alla grandissima con le finali sul veloce indoor di Stoccolma e Basilea, una vinta con Dimitrov e una persa con Federer. Dopo di che, a febbraio ha firmato Acapulco contro Andersson, dopo aver sculacciato la new generation, Thiem e Sasha Zverev. Poi ha festeggiato il primo successo della carriera a Indian Wells, stoppando ancora Federer-Express dopo uno dei migliori inizio di stagione di sempre dello svizzero delle meraviglie, dopo averlo portato a fallire un match-point. E ora ecco lo ancora protagonista a Parigi, nelle semifinali sulla terra rossa, su una superficie cioè, che tanto lo impegna fisicamente, ma dove ha infilato Isner e Cilic, mettendo paura al solito Rafa con tre palle break d’oro sul 4-4 iniziale.
“Délpo, Délpo”, ha gridato forte il Philippe Chatrier. Proprio come aveva fatto un paio d’anni fa l’Armstrong di New York un attimo prima che l’argentino venisse battuto da Wawrinka, costringendo addirittura l’arbitro a sospendere il match, per consentire quella “Ola” del cuore. Cuore che Juan Martin ha messo da parte, accettando la separazione dalla cantante argentina Jimena Baron, perché tutt’e due potessero vivere le proprie professioni, e quella dell’amico del cuore, l’amatissimo cane Cesar, cui ha dedicato la vittoria a Indian Wells. Cuore che per il ragazzo di Tandil è tutto. Entrando l’ultima volta in camera operatoria, aveva chiamato a raccolta i tifosi: “Voglio essere felice, dentro o fuori dal campo, con o senza una racchetta. Se pregate e mi volete bene, questo è il momento di pregare per me”. Al microfono di Indian Wells aveva ringraziato la vita: “Ho passato momenti che mai un essere umano o uno sportivo dovrebbero affrontare, ho pensato che non avrei più avuto la salute. Ora voglio godermi ogni momento, voglio essere felice e girare il mondo giocando a tennis. Chissà che cosa mi riserva il destino”.
Sì, meritava una terza vita, un terzo ritorno al numero 4 del mondo.
Vincenzo Martucci
(Tratto da federtennis.it)