Il calcio è diventato ormai da qualche anno uno sport “spezzatino”. Ogni giorno c’è sempre una sfida da affrontare con gli appassionati costretti a trascorrere la propria settimana fra un impegno di coppa e un anticipo di campionato. Un calendario diventato per molti insostenibile, da consultare attentamente per non cascare nello “spacchettamento” televisivo che negli ultimi anni ha interessato questa disciplina, ma che pone le radici di questo problema in un passato ormai dimenticato.
Per risalire alle prime sperimentazioni in questo campo sul territorio italiano bisogna addirittura tornare agli Anni Cinquanta, per la precisione il 15 ottobre 1955 quando allo Stadio Comunale di Bergamo va in scena la sfida fra Atalanta e Triestina. All’epoca l’idea di suddividere su più giornate i match di Serie A non è nemmeno contemplata nella mente dei tecnici più illuminati, tuttavia la comparsa della televisione chiede un piccolo strappo alla regola.
Mamma Rai vuole sperimentare la messa in onda della diretta di una sfida di campionato e per farlo si sceglie di puntare sul sabato, evitando di scontrarsi con la programmazione domenicale, sino a quel momento sacra. Dopo una lunga trattativa fra l’ente televisivo, nato un anno un prima, e la Lega Calcio c’è l’accordo per trasmettere il secondo tempo delle partite in radio e la diretta integrale televisiva per un incontro il sabato pomeriggio. In questo pacchetto vengono inserite quattro partite di Serie A, due di B e due di C tanto che la prima assoluta arriva l’8 ottobre 1955 con la sfida di cadetteria fra Simmenthal Monza e Hellas Verona.
La settimana dopo si arriva nella città orobica dove infiammano le polemiche a causa dell’assenza di pubblico sugli spalti complice il cambio di giorno e orario per la sfida. Il presidente dell’Atalanta Daniele Turani è contrario, ma è costretto a incassare il colpo e vedere un Comunale quasi vuoto nonostante la presenza delle telecamere della Rai e la telecronaca di Niccolò Carosio. La diretta televisiva non pesa più di tanto sulla scelta dei tifosi, complice una presenza decisamente ridotta del tubo catodico nelle case degli italiani, motivo per cui è proprio la scelta di proporre un anticipo appare controproducente.
La partita non è di certo delle più entusiasmanti: l’Atalanta è una squadra solida a livello difensivo, ma particolarmente scarna in ambito offensivo, la Triestina è una formazione difficile da comprendere complice il pareggio con la Juventus e la vittoria sulla Lazio accompagnate dalle pesanti sconfitte contro Sampdoria e Spal. Poul Rasmussen ci prova, ma viene puntualmente fermato con le maniere forti dai difensori giuliani che non risparmiano il danese tanto da rischiare di rompersi il piede.
La svolta arriva però a metà nel primo tempo quando, nel giro di cinque minuti, cambia tutto: Carlo Annovazzi porta in vantaggio i padroni di casa al 29’, Angelo Longoni raddoppia al 34’. A quel punto non succede praticamente più nulla, la Dea si porta a casa i due punti e inverte la rotta dopo le sconfitte con Torino e Genoa.
Chi è meno soddisfatto è il presidente Turani che, nonostante due milioni di lire offerti dalla Rai per il mancato incasso e il 70% del ricavato dai biglietti venduti, denuncia una perdita di circa seicentomila lire rispetto a una sfida tradizionale. Quell’apparente flop sarà in realtà l’inizio di un’era florida per il calcio che, passo dopo passo, abbandonerà la tradizione della domenica pomeriggio passata in compagnia della Serie A per avvicinarsi al moderno “7 giorni su 7”.