Irreale, indimenticabile, anche un po’ assurdo. Come definire il venerdì delle semifinali maschili di Wimbledon? Hanno cominciato i bombardieri giganti – “servono da così in alto che sembrano tirare dagli alberi”, li fotografava anni fa Lleyton Hewitt – il sudafricano Kevin Anderson (2.03) e lo statunitense John Isner (2.08) che, uguali nel gioco essenziale sul tema servizio e dritto, vicinissimi nella qualità e anche nella crescita, via Università Usa – nel 2007 si affrontarono addirittura nella finale per il titolo Ncaa vinta da Anderson – fanno match allo specchio per 6 ore 36 minuti, finché l’alfiere Lotto non la spunta su quello Fila, raggiungendo la seconda finale Slam dopo gli Us Open di settembre. I record sono infiniti quanto le polemiche. E’ la semifinale più lunga di Wimbledon – da Djokovic-Del Potro 7-5 4-6 7-6 6-7 6-3 in 4 ore e 44 minuti, la seconda partita più lunga dopo quella di 11 ore e 5 minuti, diluiti in tre giorni, nel 2010, sempre ad opera di Isner, con la concreta partecipazione del francese Mahut, con l’americano che, strada facendo, ritocca a quota 214 il primato assoluto di 212 ace nel torneo fissato da Goran Ivanisevic nel 2001, ma ci riesce con una partita in meno.
Fermateli! No, non fermateli! Wimbledon esagera: “gli alberi” vanno avanti troppo, Rafa e Nole troppo poco….
Il regolamento dell’All England Club non contempla il tie-break al quinto set e così Anderson-Isner va avanti per 6 ore 35 minuti (nuovo record del torneo), ma soprattutto l’ultimo set dura 175 minuti. Poi la finale anticipata, Nadal-Djokovic deve fermarsi dopo tre set!