Nello sport può accadere che talvolta una grande rivalità si trasformi in una grande amicizia. Si dice che Nadal e Federer, che si sono sfidati sul campo per ben 38 volte con lo spagnolo in vantaggio 23 a 15, prima si odiassero o quasi, ma con l’andar del tempo abbiano cominciato dapprima a rispettarsi e poi ad apprezzarsi fuori dal campo. Al punto da diventare amici, tanto che quando uno dei due organizza degli eventi di beneficienza, l’altro non manca mai.
Non si può dire che tra Panatta e Lendl sia accaduto qualcosa di simile perché i due erano divisi da 10 anni di età e di fatto non sono mai stati grandi rivali. Però ci sono un paio di episodi pressoché sconosciuti al grande pubblico e poco raccontati che meritano di essere ricordati.
1979, il diciannovenne Ivan Lendl, cittadino di una Cecoslovacchia ancora unita, si affaccia al grande tennis dopo aver vinto tutto quello che era possibile a livello giovanile. La stoffa c’è, il ragazzo è segaligno, alto un metro e 88, ma gli manca qualche chilo di muscoli per far esplodere la sua potenza. In campo non molla niente, magari non è simpatico perché non sorride mai, ma il talento certo non gli manca.
Nel primo week end di ottobre al Foro Italico è in programma la semifinale della coppa Davis tra Italia e Cecoslovacchia. Nel match d’apertura, Corrado Barazzutti e Thomas Smid danno vita a una battaglia senza esclusione di colpi. Sul 5 a 2 al quinto set in favore dell’azzurro, sul campo centrale (ora campo Nicola Pietrangeli), si abbatte un temporale che costringe a una lunga sospensione e, quando il gioco riprende, il ceco infila cinque giochi consecutivi vincendo il primo singolare.
Quando scendono in campo Panatta e Lendl, si capisce subito che sarebbe stato impossibile completare il match prima di sera e, tutto sommato, considerata la differenza d’età tra i due, la cosa non dispiace affatto alla squadra azzurra, capitanata da Bitti Bergamo, che appena qualche giorno dopo troverà la morte sull’autostrada Firenze-Mare, a causa di un folle autista di TIR che pensò bene di fare un’improvvisa inversione di marcia.
Adriano porta a casa il primo set 6-4, poi il giovane Ivan gli scappa in un attimo sul 4 a 1, menando fendenti di dritto da ogni parte del campo. Opportuna interviene la sosta per oscurità. Il giorno dopo Lendl, non ancora il giocatore capace di arrampicarsi in vetta alla classifica mondiale il 28 febbraio 1983, ma un tennista in grande ascesa, completa l’opera aggiudicandosi un pochi minuti il secondo set 6-1. Tutto da rifare. Ma Panatta lo fa benissimo. Da lì in poi comincia un’altra partita: è un autentico show quello al quale assistono affascinati gli spettatori del campo centrale del Foro Italico. Adriano prende letteralmente a pallate il giovane avversario, scaraventandolo da una parte all’altra del campo. Servizi profondi, dritti potenti, smorzate taglia-gambe per poi costringerlo a rincorrere un pallonetto preciso. Una lezione di tennis gratuita, dirà poi qualche collega impietoso. Lendl non ci si raccapezza più, appare in balia di Panatta, che a sua volta sembra in stato di grazia come raramente lo si era visto negli ultimi mesi. Finisce 6-0 6-0 per l’azzurro, travolto da un’ovazione del “suo” pubblico, quello che tre anni prima lo aveva trascinato al trionfo nella finale degli Internazionali d’Italia contro Vilas.
Quel giorno mi trovavo nella “buca” del Centrale perché lavoravo all’ufficio stampa della coppa Davis. Incrocio per un attimo lo sguardo vuoto di Lendl, a un paio di metri di distanza, e lo ricordo ancora oggi: sembrano gli occhi di un pugile che ha appena subito un k.o. durissimo. Lendl raccoglie le racchette scuro in volto e s’infila nel tunnel che conduce agli spogliatoi. Lo seguo passo passo, lui con la testa bassa percorre i duecento metri più lunghi della sua vita, forse chiedendosi cosa fosse successo. E io accanto a lui. Arriviamo all’ingresso degli spogliatoi e gli chiedo se può venire in conferenza stampa. Lui mi guarda quasi non capisse, apre la porta e scompare portandosi dietro l’umiliazione più cocente della sua carriera.
Qualche minuto dopo Panatta commenta così: “Ma ditemi, ho giocato proprio bene? Siete tutti convinti? Quel doppio 6-0 glielo volevo dare a tutti i costi. Mi è quasi venuta paura che a regalargli un solo gioco la vittoria svanisse”.
Adriano era un giocatore capace di tutto, nel bene e nel male. Certo, non gli mancava la personalità, con la quale gli piaceva condizionare i malcapitati avversari. Come a Parigi nel 1976. Mancano pochi minuti all’inizio della finale del Roland Garros e proprio prima di scendere in campo accade questo episodio. Negli spogliatoi è tutto pronto e mentre Solomon si dà un’ultima sistemata ai capelli, Panatta gli si affianca e gli dice: “Guardaci, Harold, ma come pensi che uno con la tua faccia possa vincere la finale di Parigi?”. Infatti la vinse l’azzurro in quattro set, due settimane esatte dopo il trionfo di Roma.
Ecco, in quel week end di ottobre del 1979 si rivede, parole di Mario Belardinelli, “il campione del ’76, il fuoriclasse che fa fare la figura del cretino a chiunque”.
Passa qualche mese e a inizio di aprile i due si ritrovano al torneo di Houston, che poi Lendl vincerà battendo in finale Eddie Dibbs. Panatta non sta giocando benissimo e il giovane Ivan gli chiede con sfrontatezza pari alla sua enorme ambizione: “Adriano, dove giochi la settimana prossima?”. “Las Vegas”, la risposta a denti stretti dell’azzurro. E qui Lendl affonda il colpo: “Ma perché, sei in tabellone?”.
Adriano si morde la lingua, forse avrebbe voglia di azzannargli la giugulare, ma a rimettere in fila il giovane ceco arriva l’intervento del grande Arthur Ashe: “Caro Ivan – dice – tu non puoi chiamarlo Adriano, ma Mister Panatta, perché tu non fa ancora parte della cerchia dei giocatori che hanno vinto una prova del Grande Slam”.
Lendl capisce la lezione, non replica e si infila sotto la doccia.
Passano altri 4 anni e finalmente arriva il grande momento. Al Roland Garros va in scena la grande finale tra John Mc Enroe e Ivan Lendl. L’americano la domina in lungo e in largo, sballottando l’avversario da una parte all’altra del campo, esibendo tutto il meglio del suo straordinario repertorio. Non c’è partita: due set a zero, la conclusione sembra sia solo una questione di minuti. Invece accade l’impensabile: Lendl non molla, McEnroe si incarta alla ricerca di colpi spettacolari che non gli riescono più, si stanca, s’innervosisce, non approfitta del break del 4-2 al quarto set. E così il ceco completa l’incredibile rimonta e vince al quinto set il suo primo titolo del Grande Slam.
Passa un altro mese e il cerchio tra Panatta e Lendl si chiude a Wimbledon. I due si incrociano, Adriano gli tende la mano e gli fa i complimenti per il successo di Parigi. Ivan lo ringrazia e ribatte: “Ma ora posso chiamarti Adriano?”. “Adesso sì” è la risposta, accompagnata da un “vaffa” e da un sorriso che in un attimo annulla l’umiliazione di 5 anni prima.
Daniele Garbo
- Inviato nei maggiori eventi di tennis e calcio, con un’esperienza di 27 anni a Mediaset, è docente di corsi di Giornalismo Radio Televisivo.