Non sarà l’unico pilota di F1, Alonso, se ci riuscirà, ad imporsi nello spettacolare «catino» americano, costituito da quattro rettifili e altrettante curve sopraelevate. Oltre a Hill, nelle varie epoche, ci sono riusciti Jim Clark, lo statunitense Mark Donhoue, Mario Andretti, l’altro americano Danny Sullivan, Eddie Cheever, Emerson Fittipladi, Jacques Villeneuve e Juan Pablo Montoya. Ma di questi solo Clark, Andretti, Fittipaldi, Hill e Villeneuve sono stati anche campioni del mondo.
Nel corso della storia sono stati moltissimi i piloti europei che hanno affrontato questa straordinaria avventura. La gara, nata nel 1911, vide protagonista cinque anni dopo, nel 1916, un coraggioso pilota italiano, Dario Resta. Nato a Faenza il 19 agosto 1982, figlio di Federico e della livornese Adelaide Niccodemi (la sua storia non è farina del mio sacco ma è stata scritta a più riprese da Luigi Rivola, Remi Paolozzi e Angelo Emiliani) era emigrato in Inghilterra all’età di 2 anni. Dopo aver intrapreso un’attività di venditore d’auto, inizio a correre venticinquenne. In poco tempo, dopo diversi successi, andò a gareggiare anche in America. E divenne famosissimo tanto da essere definito «The king of the speed», il re della velocità, ed ebbe anche il soprannome “Dolly”. Alla guida di una Peugeot L45 dotata di un motore 4 cilindri da circa 112 CV, si impose nella Indy del 1916. Successivamente riuscì a trionfare in diversi Gran Premi (che non erano ancora di F1) fra i quali quello di Francia. Attirato dalla velocità morì tragicamente a 42 anni, nel circuito inglese di Brooklands, mentre con una Sunbeam, tentava di battere il record dei 50 chilometri. Era un irrequieto, sono persino documentati i suoi numerosi viaggi negli Stati Uniti, sempre in nave, compresa la Lusitania che fui poi affondata da un sommergibile tedesco nel 1915, atto bellico che convinse l’America a entrare in guerra.
Quella di resta sarebbe stata l’ultima vittoria per un europeo a Indy fino al 1965.
Fernando Alonso gareggerà con una Dallara DW12 motorizzata ovviamente Honda del team di Michael Andretti. Lo spagnolo non ne poteva più: che gusto correre in mezzo al gruppone e magari ritirarsi a metà gara? Il suo è stato un percorso irto di difficoltà, dopo aver vinto due Mondiali con la Renault di Briatore. Anni di sofferenza estrema, per un pilota che gareggia (anche per i soldi, visto che lo pagano a palate di dollari) soprattutto per vincere. Era passato alla McLaren, nella stagione della spy story che ebbe come protagonista in negativo proprio la squadra di Woking, vittima la Ferrari. Ma, dopo una battaglia senza esclusione di colpi con il compagno di squadra l’allora emergente Lewis Hamilton, venne battuto per un punto da Kimi Raikkonen che esordiva con la Ferrari. Quindi ritorno alla base con l’equipe francese che non era più competitiva e campionati di continua frustrazione.
Nel 2010, finalmente, l’approdo alla sognata Ferrari. Altri cinque anni «zero tituli», come dice quel famoso allenatore portoghese di calcio. Uno perso al debutto all’ultima gara perché invece di fare la corsa su Vettel l’aveva, su indicazione della squadra, puntata su Webber. Il secondo lasciato ancora per strada nel 2012 in Brasile, preceduto sul traguardo da Button e quindi staccato di 3 punti da Vettel al quale era stato sufficiente un sesto posto per conquistare il suo terzo titolo.
Al termine di cinque anni per lui improduttivi non gli restava fare altro che cambiare ancora. Essendo occupati i sedili della Mercedes, l’unica speranza era quella di puntare nuovamente sulla McLaren dotata di un partner motoristico prestigioso, cioè Honda. Un vero disastro, quindi ora il bravo Fernando, considerato sempre e probabilmente uno dei tre migliori piloti in pista (con Hamilton e Vettel) non gli è rimasto altro da fare che cercare un diversivo in grado di accontentare il suo appetito di fama e di vittorie. Ma è un percorso pieno di rischi. Si allenerà al simulatore non avendo mai guidato sinora una monoposto Indy. Poi, poi dopo il GP di Spagna nel 15 maggio partirà per gli Usa, dove dal giorno dopo inizieranno prove e qualificazioni per la «500 Miglia» che si correrà il giorno 28. Bisogna riconoscere che ha un bel coraggio e una passione smisurata per le corse.
Cristiano Chiavegato