Unstoppable-Unbreakable. Inarrestabile-Infrangibile. Fra queste due parole c’è la stessa distanza siderale che esiste fra le autrici delle due autobiografie: due tenniste, bionde, temibili attaccanti da fondocampo, figlie della povertà e di due padri-padroni, ma con destini molto ma molto diversi. Maria Sharapova da Nyagan, Russia, è passata indenne per una condanna per doping mantenendo vivo il curriculum agonistico e soprattutto record di numero 1 delle sportive di tutto il mondo, con almeno 285 milioni di dollari in tasca (secondo la rivista Forbes), e può quindi sbandierare al mondo la sua capacità di superare ogni ostacolo. Come del resto ha fatto dai 7 anni, quando si straferì dalla tragedia di Chernobyl alla Nick Bollettieri Academy in Florida con gli appena 700 dollari di papà Jury, con la mamma che la raggiunse solo due anni dopo quando acquisì il visto per gli States. Jelena Dokic, da Osijek, Croazia, è stata anche lei una bambina prodigio da esportazione, in Australia e forzato ritorno in Croazia e contro-ritorno a Sydney, e a 19 anni è arrivata al numero 4 del mondo, ma non è riuscita a liberarsi dal giogo del terribile papà Damir. Perciò non s’è goduta niente: né premi, né gloria. Ma oggi rialza la testa per gridare al mondo che, malgrado tutto, ha resistito a tutto e non è andata distrutta.
Inarrestabile-Infrangibile. In queste sue parole c’è anche l’arroganza di Masha e la rabbia di Jelena: la grande Sharapova licenziò praticamente l’ingombrante papà che, in tribuna, vestito con una tuta caci da militare, mimò platealmente alla figlia il gesto di tagliare la gola all’avversaria; la piccola Dokic è stata vessata mentalmente e fisicamente, costretta a dormire fuori casa (“negli spogliatoi di Wimbledon dopo aver perso con Lindsay Davenport nel 2000”), anche “sputata addosso” quando perdeva una partita o comunque i suoi risultati non incontravano le aspettative dell’orco di casa. Un alcolista violento e incontrollabile per tutti, “una persona impulsiva”, secondo la tenera Jelena.
Inarrestabile-Infrangibile. Sia Sharapova che Dokic sono state così, in campo, in quelle trance agonistiche – accompagnate con le loro belle grida di battaglia – che portavano irrimediabilmente alla resa dell’avversaria.
Masha è sempre lì, uguale a quando, 17enne, beffò Serena Williams nella finale di Wimbledon 2004. Jelena la ricordiamo con quegli occhi di un colore indefinito, già a Wimbledon ’99, quando, appena 16enne, sorprese Martina Hingis diventando la prima qualificata ad eliminare una numero 1 del mondo ai Championships, peraltro, arrivando ai quarti appena al secondo Slam, e la ricordiamo quando vinse Roma nel 2001, demolendo Amelie Mauresmo, sempre con quello sguardo fisso, vuoto. Infrangibile direbbe lei, impaurito dicemmo noi.
Inarrestabile-Infrangibile. Fuori dal campo, Maria Sharapova è l’icona della donna forte che non deve chiedere mai, sofisticata ed algida, che passa da un fidanzato all’altro, dal cantante Adam Levine al produttore tv Charlie Ebersol, dal cestista Nba Sasha Vujacic al tennista Grigor Dimitrov, senza che nessuno possa metterci il naso, appunto, “unstoppable”. Mentre, Jelena Dokic, sia quando ha detto per la prima volta ti amo al pilota di Formula Enrique Bernoldi a quando si è legata all’ex coach part-time Tin Bikic, ha ricevuto forti opposizioni d parte del solito papà. Morale: è andata in depressione, ha avuto bisogno dello psicologo, è ingrassata di 30 chili. Ma ne è uscita: “Unbreakable”, come dice lei.
VINCENZO MARTUCCI