Nasce a Louisville, nel Kentucky, Cassius Clay, al secolo Muhammad Ali, per la storia “The Greatest”, il più grande.
Si avvicina alla boxe per caso, perché gli rubano la biciletta e perché il poliziotto che raccoglie la denuncia insegna pugilato. È un fulmine che balla sul ring con la leggerezza di una farfalla e con la precisione di un cecchino. Da dilettante 137 vittorie in 144 incontri, l’ultimo gli vale l’oro olimpico a Roma nei mediomassimi.
Passa al professionismo, guidato da Angelo Dundee che lo segue per tutta la carriera. In tre anni disputa e vince 19 incontri, accreditandosi come sfidante ufficiale al campione Sonny Liston.
Il match è programmato per il 25 febbraio 1964; da due anni Clay è amico del leader dei neri d’America, Malcom X, che lo accompagna alla sfida di Miami tra le proteste degli organizzatori. Liston è battuto e tre giorni dopo Cassius Clay annuncia di avere abbracciato la fede islamica e di aver cambiato nome in Muhammad Ali.
Il 25 maggio 1965 c’è la rivincita, con il colpo fantasma, che manda al tappeto Liston nel 1° round. Il 28 aprile 1967 Ali è chiamato alle armi, ma si rifiuta di arruolarsi: le conseguenze sono la perdita del titolo mondiale, il ritiro della licenza e la condanna a 5 anni di carcere tramutati in libertà provvisoria sotto cauzione. Torna sul ring nel 1970 e nel 1971 perde la sfida per il titolo contro Joe Frazier.
La rincorsa di Ali riparte da lontano; il 31 marzo 1973 Ken Norton lo sconfigge fratturandogli la mandibola, poi si prende la rivincita con lo stesso Norton e con Frazier. Il 30 ottobre 1974 a Kinshasa batte George Foreman e torna campione. A Manila nel 1975 l’apoteosi della carriera con la vittoria nel terzo e ultimo incontro con Joe Frazier.
Poi il lento declino, la terza riconquista della corona contro Leo Spinks, la malattia del morbo di Parkinson e l’apparizione come ultimo tedoforo alle Olimpiadi di Atlante 1996 che emoziona il mondo intero.