Qualcuno sostiene che il segreto è molto semplicemente la racchetta dall’ovale più ampio. Qualcun altro suggerisce che è solo e soltanto questione di maturità, i quasi 36 anni, le due coppie di gemelli cui deve dare l’esempio, la ricerca del tempo perduto (perché 4-5 Slam li ha perduti da solo…). Qualcun altro ancora indica la spiegazione nell’improvvisa fragilità dei rivali diretti, gli altri Fab Four, Nadal, Djokovic e Murray, puniti da una misteriosa legge del contrappasso proprio dal loro gioco troppo fisico, dispendioso e ripetitivo (e noioso). Qualcun altro è sicuro che la chiave di tutto sia l’ultimo allenatore-stratega, Ivan Ljubicic, che gli ha fatto il lavaggio del cervello come nessuno mai e l’ha spinto a giocare “alla Federer”, libero, senza complessi, veloce, spingendo anche di rovescio, in top, a tutto campo, tutto di rischi, vicino se non prima della riga di fondo: due-tre colpi e via. Di certo, Roger Federer continua a stupire. Dopo l’imprevedibile trionfo agli Australian Open di gennaio – il numero 18 a ritoccare il suo stesso record assoluto di successi Slam -, il Magnifico gioca meglio che mai e, nel primo Masters 1000 dell’anno, sul cemento della California, ha distrutto la sua bestia nera, Nadal, infliggendogli una sconfitta molto ma molto più dura di quella di Melbourne. Perché nel primo Slam della stagione, il mancino di Maiorca era stato avanti 3-1 al quinto set, ed aveva comunque perso per mezza incollatura, mentre stavolta non l’ha proprio vista. Schiacciato fuori dal campo dai fendenti mai così profondi dello svizzero delle meraviglie, finalmente convinto ad affrontare lo spagnolo da fondocampo, ma di pressione costante, pronto ad affondare alla prima palla corta e alla prima fetta di campo indifesa.
Il risultato, il punteggio, la circostanza del torneo così importante, la conferma di Melbourne, addirittura il terzo successo consecutivo di Roger contro Rafa – per la prima volta in tredici anni di duelli – fanno riesplodere più veemente e appassionato che mai il tifo dei seguaci del più grande tennista di sempre e gli aprono nuovi, impensabili, scenari per i prossimi grandi tornei. Soprattutto per Wimbledon e gli Us Open, tradizionali terreno di caccia di Federer e quindi probabile occasione per rimpolpare ulteriormente il bottino Slam che sembrava esaurito. Ma, nello stesso tempo, gli stessi appassionati notano che una simile superiorità è sproporzionata, esattamente come era diventata quella di Rafa su Roger. Prima, erano diventate eccessivamente preponderanti le motivazioni psicologiche, il fatto che il mancino di Majorca si fosse incuneato nelle certezze dello svizzero d’oro annullandone tutte le controdifese, annichilendolo come la Kryptonite per Superman. Ora, sembrano diventate dominanti le deficienze atletiche, le ginocchia che non spingono più con veemenza e continuità il terrificante dritto-gancio di Nadal, tornando quindi ad esaltare le doti tecniche di Roger e ad azzerare l’indomabile spirito e la somma intelligenza tattica dello spagnolo. Ecco quindi che la verità del troppo netto 6-2 6-3 di Indian Wells sta nel mezzo, acuendo l’importanza dei limiti del passato di Federer nella gestione del match e mettendolo sotto la lente di ingrandimento il suo futuro. Quello più lontano, appunto con gli altri Slam sul veloce, e quello immediato, che era previsto in semifinale contro un picchiatore ruvido e selvaggio, che non guarda in faccia a nessuno, coi suoi 22 anni, dell’ultimo “bad boy” del tennis, Nick Kyrgios.
Contro il temibile guastafeste, campione finora di discontinuità che però ha smascherato Djokovic per la seconda volta in tre settimane, Federer sarebbe partito sicuramente favorito. Dalla maggior varietà, dalla miglior risposta, dal servizio che sembra un coltellino svizzero per quante soluzioni può tirar fuori, e dall’incredibile rovescio che sta sfoderando da qualche mese in qua. Il colpo meno sicuro è, come per tutti l’indice della forma di un giocatore, e infatti sta funzionando alla grande. Appena lo steccherà, se lo steccherà, Roger tornerà vulnerabilissimo. Perché, coi rivali diretti impauriti, e con gli altri, addirittura col cattivi ragazzi come Kyrgios che non i sento pronti il giusto per affrontarlo, in teoria, non potrebbe perdere con nessuno. E questo solo pensiero può risultare il suo avversario più temibile, insieme alla pressione di vincere che fino a Melbourne era sparita ma che ora torna impellente, esaltante, forse ubriacante. Facendogli completamente dimenticare il ginocchio operato che – miracolo – ha ripreso a funzionare al meglio. Perché tutto, in fondo, parte della testa. Ma se le gambe non girano, povero Nadal, neanche il coraggio più impavido può regalare la salvezza.
VINCENZO MARTUCCI