Ivan Ljubicic è sempre stato particolare, sin da quando sbarcò alle Pleiadi Moncalieri come profugo bosniaco e, con l’aiuto di Riccardo Piatti, salì sorprendentemente al numero 3 del mondo del tennis per poi distinguersi come manager e come super-coach del rilancio di Roger Federer. Al tempo del Corona Virus, ‘Ljubo’ torna alla ribalta con un primo tweet: “Gli scacchi ci terranno in salute (o ci renderanno matti) in questo periodo”. E poi con un secondo cinguettio: “Sono stato più volte fortunato, ringrazio Vachier Lagrave per avermi dato l’opportunità dei giocarci contro e di essere stato così gentile. Spero che vinca. I Candidati e che mi riconvochi per prepararsi contro Magnus Carlsen”.
Cosa manca di più a un girovago per sport chiuso dopo tanto tempo in casa?
“Sinceramente stare un po’ fermo, in famiglia, mi fa piacere: non ero più abituato, dopo aver viaggiato per anni e anni come tennista agonista, ho portato avanti l’attività di manager e poi quello dei coach, e in pratica ho continuato a lavorare tanto fuori casa. Sinceramente ero un po’ stanco e sono felice di recuperare energie. Non ho proprio questa voglia di ripartire, anche perché mia moglie ed io facciamo felici i nostri figli che non sono abituati ad averci così presenti”.
Gli scacchi sono sport?
“Ovviamente, tennis e scacchi sono due cose completamente diverse, ma che comunque con tempi e modalità molto diverse impegnano nella competizione. Gli scacchi per me sono un gioco non c’è l’attività fisica, come il tennis. Ma quando ho affrontato il numero 5 del mondo avevo i battiti a 120 e sentivo forte l’adrenalina. Di certo, se guardi ai campioni di scacchi sono tutti asciutti, in forma, perché fanno anche loro attività fisica, altrimenti non potrebbero reggere l’attività mentale per 6/7 ore di partita”.
Contro Lagrave ha strappato un pari: quindi Ljubicic è forte anche a scacchi.
“Sono riuscito a imbrigliarlo preparando una linea d’apertura che l’ha bloccato all’inizio. Sono di livello 1700-1900, il livello base è 1300-1400, il numero 2 del mondo, Caruana, che è italiano ma gareggia per gli Usa, è 2850. Sì, sono competitivo, anche se preferisco le partite Blitz, Rapid, Bullet, quelle più veloci, insomma”.
La strategia degli scacchi si avvicina a quella del coach di tennis.
“Sì, devi anticipare le giocate dell’avversario e poi dopo un po’ devi essere tu forte e attento. Anche nel tennis, quello che hai preparato si vede nel primo set poi, più la partita va avanti, l’avversario si adatta e devi adeguarti anche tu. E viene fuori quello che sei, il talento che hai”.
Anche negli scacchi, come nel tennis l’avversario cerca di influenzarti.
“Ci sono quelli che ti guardano fisso negli occhi, quelli che si alzano e ti girano attorno. Ma, giocando on line, la personalità dell’avversario non la avverti e l’on line ha rivoluzionato gli scacchi. Che ho imparato da bambino, a 8-10 anni grazie a papà, poi li ho ripresi anche leggendo le storie di scacchi dei maestri, quindi all’inizio della carriera tennistica c’erano tanti che giocavano nel players lounge, come Toni Nadal, lo zio-coach di Rafa, e Pepe Clavet; dal 2009 al 2014 li ho abbandonati, da cinque anni in qua mi è ripresa forte la passione, ci gioco anche un paio d’ore al giorno ed è diventato un passatempo importante”.
Gli scacchi aiutano a pensare e danno un tempo diverso da quello del web.
“Rallentare un po’ il tempo, accendere il focus, non fare tutto di fretta: sono cose che suggerisco ai miei ragazzi. Il mondo moderno è questo, è velocità, non possiamo chiedere ai giovani di fare altrimenti né noi dobbiamo andare solo in direzione opposta, dobbiamo adattarci e cercare la via di mezzo. Leggere è un’altra cosa importante”.
Tennis e scacchi sono sempre più computerizzati.
“Per gli scacchi i super computer imbattibili sono diventati decisivi nello sviluppo del gioco: anche i campioni per migliorare se stessi, invece di sfidare altri campioni si cimentano contro la macchina per ottenere una maggiore combinazione di mosse. Nello sport giocato si fa sempre più riferimento alle statistiche ma non c’è la partita rigiocato due volte uguale, la componente mentale fa la differenza, ma le emozioni, le sensazioni del momento sono sempre decisive. Anzi, troppi dati sono un riferimento ma possono essere fuorvianti nei momenti topici della partita”.
Negli scacchi ci sono le emozioni che esistono nel tennis?
“Certo: io nella partita contro Lagrave avevo continuamente paura di non vedere qualche mossa, di essere vulnerabile, come succede anche a tennis. E proprio come lì, anche negli scacchi si perde più di quanto si vinca, non importa il livello dell’avversario, perché puoi distrarti, anche a me succede spesso. Cosicchè da vivere gli stessi momenti di frustrazione del tennista: butta via tutto, minacci te stesso che non giocherai più, ma dopo ventiquattr’ore ti manca troppo e torni a giocare”.
Qual è il suo idolo negli scacchi?
“Kasparov perché era creativo, ma non così fuori di testa come Fischer e perché cercava la soluzione fino all’ultimo per migliorarsi continuamente per evitare il pari”.
E il suo grande amico, Federer, gioca a scacchi?
“Ogni tanto, ma solo per divertimento, partite veloci, come passatempo, senza un grande impegno per migliorare il livello”.
Tratto da primaonline.it (Foto Ansa – EPA/NIC BOTHMA)