Ora non facciamo gli italiani, non corriamo già ai possibili quarti di finale da sogno contro il dio della terra rossa, Rafa Nadal e, viceversa, non ci auto-terrorizziamo per il prossimo turno, sulla carta più agevole, contro il Peter dal sogno, e per noi impronunciabile e anche inscrivibile, Gojowczyk (che già ha deluso Querrey e Sonego). E’ vero, il tennis è lo sport più crudele, quello che cancella subito le vittorie più belle e propone immediatamente un nuovo esame. Stavolta, però, limitiamoci a vivere solo il presente, l’entusiasmante affermazione di Fabio Fognini contro Dominic Thiem, sul campo centrale degli Internazionali d’Italia che traboccava sano tifo e genuina felicità.
Questa vittoria vale tanto. Perché, al di là del nome e del curriculum dell’austriaco dal bellissimo rovescio a una mano è stata combattuta, e vinta, egregiamente, di tecnica, di cuore e di cervello. Perché l’erede di Thomas Muster è un gran picchiatore, perché è molto più giovane del ligure (24 anni contro quasi 31, da compiere il 24 maggio), perché è più avanti in classifica (8 contro 21), perché è più in fiducia, dopo il terzo successo sulla terra rossa contro Nadal – stappandolo dopo 50 set consecutivi vinti sulla superficie preferita del marocchino -, perché è anche più sano fisicamente, visto che papà Fognini si trascina dalla coppa Davis un problema alla caviglia, e perché, in due precedenti, l’italiano allenato da Franco Davin non aveva strappato un set all’austriaco, guidato da Gunther Bresnik (già maestro di Steffi Graf e Boris Becker).
Non facciamo gli italiani, non andiamo a pescare il pelo nell’uovo. Non sussurriamo che Dominic voleva staccare la spina con la sua bella Kiki (la collega Mladenovic), per preparare al meglio il Roland Garros. Non è vero, anzi, ha lottato fino alla fine col coltello fra i denti, e si è iscritto al torneo di Lione per fare altre partite. Non sottolineiamo l’eccessivo nervosismo di Thiem che ha spesso urlato al vento la sua frustrazione e ha anche divelto una racchetta, prima di annullare due dei tre match point consecutivi, coi quali Fognini ha chiuso la partita per 6-4 1-6 6-3. Perché è giusto che sia così, così come è normale che, stavolta sia qualcun altro a perdere la testa e a spaccare la racchetta, segno evidente che l’italiano ha fatto le cose giuste: “Mi sono preso i miei rischi, non ho aspettato, e ho tenuto il livello alto, meritandomi il successo, altrimenti contro questa gente, contro uno dei pochi che può battere Rafa sulla terra, perdi. Infatti nel secondo set che non l’ho fatto, ho preso un 6-1”. Non rimarchiamo che questo successo è figlio dell’atmosfera, del portentoso e rumoroso e importante pubblico di Roma. Perché non è stato questo il motivo decisivo, ma, semmai, è un ulteriore fattore positivo di questa vittoria, come dice lo stesso Fognini: “Finalmente, io e il pubblico di Roma connettiamo, il rapporto è cambiato due anni fa quando ho battuto Dimitrov e Berdych e l’anno scorso quand’ho battuto Murray. Probabilmente arrivavo con aspettative molto alte. Di certo, quando uscii tra i fischi qualche anno fa, fu il mio momento peggiore qui”.
Non facciamo gli italiani. Godiamoci la capacità di Fabio di adattarsi al micidiale servizio kick di Thiem, alternando risposte anticipate ad altre tre metri fuori dal campo, per rimettere la palla e cucire lo scambio. Applaudiamo la sua nuova maturità, con accanto la moglie, l’ex pro Flavia Pennetta e il piccolo Federico, quando ricorda: “Quel feeling particolare non lo trovi tutti i giorni, devi imparare a vincere anche quando giochi male, come Rafa. E questa è una gran bella differenza”.
Non facciamo gli italiani, facciamo gli spagnoli, andiamo avanti passin passino. Pensiamo a Peter Gojowczyk, che tutti chiamano solo Gojo, 53 del mondo, che, prima di Roma, ha perso cinque volte al primo turno. Nadal è lontano.
VINCENZO MARTUCCI