Gli inglesi la chiamano “legacy”, eredità, e quando pronunciano questa parola si fanno serissimi. Perché non parlano di soldi ma di tradizione, di caratteristiche proprie, di irrinunciabile storia. Perciò, mentre Ash Barty alzava sabato 10 luglio il famoso piatto di Wimbledon “The Ladies’ Singles Trophy”, detto anche “The Rosewater Dish” o “Venus Rosewater Dish”, il vassoio d’argento che premia la vincitrice dei Championships dal 1886, molti australiani anziani piangevano il triplo.
Un po’ perché la piccola aussie rinnova la favola di Davide e Golia ed aveva l’espressione uguale di una celebre foto di quando, bambina, mostrava fiera il suo primo trofeo e di dieci anni fa, quando conquistò la coppa del torneo juniores dei Championships ad appena 15 anni. Un po’ gioivano, i discendenti dei duri immigrati sbarcati “down under” dopo un estenuante viaggio in nave, per il primo successo di una tennista australiana dal1980.
E molto si commuovevano pensando che la vincitrice di allora, Evonne Goolagong, si identifica con l’etnia aborigena, la stessa che Ash Barty sbandiera e difende apertamente, in nome di papà. Al punto di vestire un completino clonato proprio da quello he indossava il suo idolo e mentore. “Evonne è una persona molto speciale nella mia vita. E’ stata stata un’icona per i giovani indigeni perché credano nei loro sogni e li inseguano convinti. Lo ha fatto anche con me. Non è un esempio solo sul campo da tennis, la sua eredità fuori dal tennis è incredibile, se potessi diventare la metà di quello che è stata lei sarei una persona molto, molto, felice”.
Ash è alta appena 1,66, ma attenti a non commettere l’errore di Rod Laver, il più famoso tennista d’Australia e di sempre, l’unico in assoluto a chiudere due volte il Grande Slam nel ’62 e nel ’69, che la bocciò e poi le ha dovuto chiedere apertamente scusa fino a diventare uno dei suoi primi tifosi.
Perché la ragazzina ha dimostrato di aver tocco, fantasia e potenza, come dimostra il repertorio tecnico completo che sciorina in campo, con variazioni continue di tagli e di velocità di palla, ed ha anche potenza come ben sanno le avversarie rispondendo a servizi perentori e ad improvvise sbracciate vincenti di dritto.
Ma la 25enne di Springfield, un sobborgo di Ipswich, nel meraviglioso Queensland, ha anche tanta personalità. Lo ha dimostrato quando, scontenta dei risultati in singolare, malgrado due finali Slam e 11 titoli in doppio, agli Us Open 2014 annunciò: “Mi prendo una pausa dal tennis, le come per me sono andate troppo veloci, ho viaggiato tanto, fin da giovanissima. Ora voglio vivere la vita come una normale adolescente e fare qualche esperienza normale”.
Il problema era la classifica che la collocava oltre il numero 200 del mondo in singolare e 40 in doppio, ma anche di sovrappeso. Così ha staccato la spina dal suo mondo, ha assaporato la libertà di qualche birra con gli amici e ha vissuto finalmente a cuor leggero senza gli impegni categorici del tennis pro. Il grande amore per lo sport tutti gli sport, l’ha poi avvicinata al cricket, che non aveva mai praticato, tanto da giocare coi Western Suburbs e con gli Heat della lega di Twenty20, un formato ridotto di quello sport.
Anche se poi, non potendo più restare lontana dal suo primo amore sportivo, nel febbraio 2016, ha annunciato che sarebbe tornata al mondo delle racchette: è ripartita dai tornei minori, riflettendosi nella classifica di 623 del mondo, ma già a maggio è rientrata sul WTA Tour. Ha quindi cominciato il 2017 fuori dalle prime 250 del mondo sia in singolare che in doppio ma a fine stagione è rientrata fra le prime 20 di tutt’e due le classifiche, con l’indimenticabile primo titolo sul circuito a Kuala Lumpur.
Come può contrastare le virago del tennis moderno? La Barty ha zittito le perplessità dell’ambiente, salendo nel 2019 fino al numero 1 del mondo sulla scia del primo trionfo Slam, al Roland Garros e ha zittito ancora tutti l’anno scorso quando, già a fine febbraio, s’è chiamata fuori dal tennis per i problemi della pandemia, e quindi di una forzata e prolungata assenza dalla sua amatissima casa, oltre che per le collocate reale delle bolle di protezioni degli atleti nei vari tornei.
Una decisione chiara, netta, senza ripensamenti e discussioni. Così com’è stata, all’opposto, la scelta, quest’anno, di levare le ancore dalla sua amatissima Australia subito dopo la sconfitta di fine febbraio ad Adelaide contro Danielle Collins, ben conscia di non poterci tornare fino a settembre, dopo gli Us Open, per le strette misure adottate in patria contro il covid per chi entra nel paese.
In partenza, Ash nutriva grandi speranze sulla terra rossa di Parigi, forte del successo a Stoccarda e della finale a Madrid, sempre contro Sabalenka, ma s’era ritirata sia Roma che al Roland Garros: l’infortunio all’anca era talmente complicato da presentare una prognosi di due mesi, tale da escludere quindi la sua presenza a Wimbledon.
Il suo team, pur curandola ed allenandola con attenzione, gliel’ha tenuto nascosto. Tanto che, una volta vinta la finale ai Championships contro Karolina Pliskova, la piccola australiana ha rivelato: “Poter giocare qui a Wimbledon è stato a dir poco un miracolo”.
Ash, a oggi, ha confermato la presenza allOlimpiade di Tokyo, in contrapposizione ancora una volta con molti protagonisti del tennis mondiale: “Sono estremamente orgogliosa di far parte della mia prima squadra olimpica, siamo 490, ma siamo uniti, siamo una sola squadra. Così come sono entusiasta di rendere orgogliosi gli australiani, non vedo l’ora di vivere quest’esperienza”. Il 24 luglio, al via del torneo olimpico saranno trascorsi cinque mesi lontana da casa, e dovrà attenderne altri tre. Ma Ash Barty è impegnata in una missione che vale triplo come i motivi delle lacrime dei connazionali quand’ha vinto Wimbledon. “Il sogno di sempre, perché tutto è cominciato lì”. E a Tokyo rilancia anche in doppio al fianco dell’amica Storm Sanders.
“Ogni opportunità che puoi indossare il verde e l’oro, volevo afferrarlo con entrambe le mani”, ha detto. ”Sono in forma, sto bene, Storm è una mia amica d’infanzia, abbiamo giocato molto insieme. Poter vivere questo sogno con lei è davvero, davvero speciale”.
Come la piccola-grande Barty.
Testo e foto tratti da supertennis.tv