Questo potrebbe essere un weekend davvero speciale per Jonathan Rea, 33 anni, nordirlandese. Nel round di Estoril, l’ultimo della stagione, il campione in carica – già entrato nella storia del Mondiale delle derivate grazie ai 5 titoli (consecutivi) in bacheca – si prepara a raggiungere un (doppio) traguardo che lo trasformerebbe in una vera leggenda.
Primo in classifica, gli basterebbero 37 punti di vantaggio su Scott Redding alla fine di Gara 1 per conquistare il suo sesto Campionato e con una vittoria arriverebbe a 100. “Quando sono salito sul gradino più alto del podio a Brno, nel 2018, e ho superato i 59 successi del mito Carl Fogarty, ero la felicità in persona. Non riesco nemmeno a immaginare la gioia di arrivare al primo numero a tre cifre” racconta la stella del Kawasaki Racing WorldSBK Team.
Pensi di più alle 100 gare o al sesto titolo?
“Alle gare. Anche se l’obiettivo è il titolo”.
Se riuscirai in entrambe le imprese, non sarà facile trovare motivazioni nel 2021.
“Il problema non si pone: io e la squadra formiamo un gruppo molto affiatato e ambizioso: penseremo ad arrivare a 125 vittorie e al settimo Mondiale”.
Non sei stanco del numero 1 sul cupolino, insomma.
“No, spero che resti lì fino all’ultima gara della carriera. Ce la metterò tutta, ma mi rendo conte che la lotta diventa più tosta ogni anno”.
Dalla Ducati alla Yamaha, lo sviluppo delle altre case costruttrici è stato considerevole. Aspetti novità per la prossima stagione?
“In effetti l’ultimo aggiornamento della Ninja risale al 2016, eppure non credo che la ZX-10RR cambierà molto: è in testa al campionato. Il nostro pacchetto è ottimo e siamo vicini al limite; agli ingegneri giapponesi ho richiesto di aumentare la potenza, però con le attuali regolamentazioni tecniche sarà un’impresa, i componenti sono standard. Costruire una moto è un lavoro complesso che richiede una pianificazione a lungo termine, i progetti durano anni. E poi ‘nuovo’ a volte non significa ‘meglio’, l’ho imparato con l’esperienza”.
Nonno pioniere delle due ruote nel tuo Paese (sponsor di Joey Dunlop ndr), e papà pilota, hai la moto nel Dna. Contro chi dei due ti piacerebbe gareggiare?
“Mio padre, perché era forte: ha vinto 13 campionati d’Irlanda del Nord e dell’Ulster, un Tourist Trophy sull’Isola di Man e un GP dell’Ulster. Non sarebbe facile trovargli una tuta, però: ha messo su qualche chilo e gli servirebbe una taglia XXL”.
Che ricordi hai di tuo nonno?
“Uno su tutti: quando avevo 6 anni, mi disse che sarei diventato campione del mondo; purtroppo è mancato poco dopo, il 1° ottobre 1993. Sono molto legato a lui: per il suo anniversario un paio di settimane fa sono andato in moto fino al cimitero dov’è sepolto e sulla sua tomba da ragazzino avevo lasciato il mio primo trofeo.
A Portimão quest’anno ho vinto tutte e tre le gare e quella di sabato è caduta il giorno del suo compleanno. Sul podio ho puntato il dito al cielo, verso il nonno, come faccio quasi sempre: credo sia uno degli angeli che veglia su me. Nei momenti difficili prego Dio e nonno John di proteggermi e di sostenermi”.
È la vigilia di un giorno in cui potresti confermarti campione: ti senti diverso, rispetto a un fine settimana di gara qualsiasi?
“Sì e no. Nel 2015, al primo tentativo, non ero riuscito a dormire un attimo: ero calmo, ma fu un round travagliato. Ora so come gestire la pressione, non mi lascio trascinare da quei meccanismi mentali che alimentano le aspettative e tengo a bada le emozioni. Mi concentro sulla gara, senza pensare al campionato. Dopo avere superato e la bandiera a scacchi, sarà quel che sarà”.
*Credito foto: Kawasaki Racing Team WorldSBK