Nella conferenza stampa successiva alla vittoria di sabato scorso contro la Georgia, un Conor O’Shea visibilmente sollevato dallo scampato pericolo ha spiegato che “ci servono anche partite contro squadre di questa forza, vorremmo giocare più spesso con la Georgia e affrontare Romania, Fiji, Samoa”. L’head coach azzurro vorrebbe quindi che i suoi giocatori non si misurino solamente contro le squadre più forti (le quattro grandi dell’Emisfero Sud, Nuova Zelanda, Australia – che sfidiamo sabato a Padova, diretta DMAX ore 15 -, Sudafrica e Argentina e le cinque avversarie del Sei Nazioni). Il suo desiderio è giocare contro le squadre immediatamente dopo nel ranking, in pratica quelle che potremmo definire del Tier 2 (fascia 2). Scorrendo la classifica mondiale, troviamo le Fiji al 10° posto, l’Italia al 13°, la Georgia al 14°, la Romania al 16° e Samoa al 17°. In mezzo ci sono il Giappone (11°), Tonga (12°) e gli USA (15°). Sono tutte squadre che si qualificano regolarmente alla Coppa del Mondo e tra loro Fiji, Samoa, Tonga e Romania hanno una grande tradizione rugbistica, mentre Georgia e USA stanno vivendo ora il miglior periodo della loro storia.
Insomma, il valore di queste nazionali è indubbio, ma il quesito non può rimanere implicito: perché il nostro ct vuole misurarsi con avversari validi ma inferiori ai soliti? Goerges Coste, padre della prima grande Italia che alla fine degli Anni ’90 si guadagnòl’accesso al Sei Nazioni a suon di vittorie contro le squadre del Sei Nazioni, sosteneva: “Dobbiamo sempre più spesso sfidare squadre di prima fascia, l’obiettivo è mantenere il livello alto, anche a costo di subire qualche sonora scoppola”. Ora O’Shea, in un’epoca ben diversa, sembra andare parzialmente in direzione opposta. Le ragioni possono essere molteplici e di natura molto diversa.
NUOVE SITUAZIONI TECNICHE
Contro la Georgia, l’Italia ha trovato situazioni del tutto nuove. Non ha pagato a caro prezzo alcuni errori grossolani (l’in avantigeorgiano a campo aperto nel secondo tempo, commesso a seguito di un’ingenuità della nostra difesa, contro gli avversari tradizionali l’avremmo sicuramente pagato con una meta, sabato siamo stati graziati). Si è trovata a lungo avanti nel punteggio (situazione che non accade pressoché mai contro le grandi), dovendo gestire più che inseguire e dimostrando che una tranquilla giornata “dove a un certo punto pensavo di segnare 40 punti” (parole del tecnico irlandese) si è trasformata in un affannato contenimento del vantaggio nella fase finale, solo per un errore che con la meta tecnica ha rivitalizzato una squadra che sembrava domata. Come a dire, può essere molto facile quando hai fatto gran parte del tuo dovere rimettere tutto in discussione e ripartire da zero, dunque abituarsi a mantenere la concentrazione sempre sopra il livello di guardia è paradossalmente più complicato contro squadre medie che grandi. Contro queste ultime abbassare il livello significa peggiorare il passivo, contro le prime significa rischiare di compromettere la vittoria: dove conta di più? Giocare lunghi tratti dalla parte giusta del tabellone potrebbe inoltre permettere a O’Shea e al suo staff di vedere situazioni di gioco ed eventuali difetti che l’Italia non può mostrare contro i soliti giganti.
VINCERE AIUTA A VINCERE
Questo tema non deve scandalizzare nessuno. Non è escluso (ma è solo una nostra libera interpretazione, beninteso) che il nostro tecnico ritenga che l’Italia debba avere qualche possibilità in più di giocare con buone probabilità di vincere. La nostra nazionale in questi anni potrebbe essersi abituata ad accettare la sconfitta a fronte di una partita in cui il XV azzurro in campo ha dato tutto. Se l’obiettivo diventasse non più vincere ma perdere bene, con un passivo contenuto e con gli applausi convinti degli avversari, sarebbe un problema enorme. Così come è un fatto che ogni volta che l’Italia ha affrontato squadre diverse dai soliti che ci guardano dall’alto in basso ne è sempre uscita vincitrice, eccezion fatta per la prima sfida col Giappone del tour di Giugno, peraltro immediatamente seguita dalla vittoria nella secondo test-match e per la sconfitta contro la selezione di Fiji, Samoa e Tonga (Pacific Islanders) nel 2016, poco dopo la storica vittoria contro il Sudafrica. Nella stregata Coppa del Mondo, che ci continua a sbattere in faccia la porta degli agognati quarti di finale, dal 2003 al 2015 abbiamo sempre vinto le partite da vincere per tenere viva la speranza di qualificazione. In Australia nel 2003 superammo Tonga e Canada, in Francia nel 2007 Romania e Portogallo, in Nuova Zelanda nel 2011 Russia e Stati Uniti e nel Regno Unito nel 2015 Canada e Romania. Dare continuità a una serie di vittorie rafforzerebbe indubbiamente la fiducia del gruppo, che dopo 19 Sei Nazioni non è molto incline ad alzare le braccia al fischio finale.
SAPER GESTIRE UNA GRANDE PRESSIONE
Un avversario più debole del solito non significa necessariamente un match più agevole. Contro le nazionali di seconda fascia gli occhi del Sei Nazioni e della stampa italiana ed estera saranno tutti puntati sugli azzurri, che come contro la Georgia giocherebbero per un solo risultato, la vittoria. Portare a casa il match significherebbe aver fatto semplicemente il proprio dovere, perdere aggiungerebbe un’altra carta nelle mani degli addetti ai lavori che criticano la presenza dell’Italia nel Sei Nazioni. Una vigilia del match vissuta avendo tutto da perdere può trasformarsi in un’importante iniezione di fiducia il giorno dopo il match se questo si risolve a nostro favore. È quello che ci auguriamo accada ai ragazzi dopo la vittoria contro la Georgia, così come se lo augura Conor O’Shea.
QUANDO GIOCARE CONTRO LE SQUADRE DISECONDA FASCIA?
L’idea del coach azzurro rischia di morire sul nascere a causa degli impegni del calendario internazionale. Col Sei Nazioni irrinunciabile e con i test-match di Giugno in trasferta e d’Autunno in casa, quali finestre rimangono per giocare altre partite? Nessuna, anche in considerazione dell’alto numero d’infortuni che il gioco moderno e il calendario fittissimo stanno provocando. Cosa fare allora? La FIR non vedrebbe di buon occhio la rinuncia al tour estivo, visti i proventi che le federazioni ospitanti garantiscono, e il potere contrattuale di O’Shea non è lo stesso di quando si è presentato due anni fa centrando la grande vittoria col Sudafrica. È pur vero che Conor gode di stima e fiducia da parte dei colleghi più in vista come gli haed coach di Benetton e Zebre, coi quali lavora a stretto giro per incrementare il numero di giocatori per la Nazionale. Questa fiducia potrebbe essere utile per insistere nel modificare l’assetto delle tre o quattro partite di Novembre. Un buon compromesso tra esigenze economiche e tecniche sarebbe accettare di sorbirsi una lunga e faticosa ma redditizia trasferta nella prima partita – come quest’anno a Chicago contro l’Irlanda – a fronte di due match interni contro squadre come Romania e Fiji. Due sfide all’anno da vincere per forza, per migliorare la fiducia e la gestione della pressione, allo scopo di arrivare con maggiore consapevolezza delle proprie forze alle sfide del Sei Nazioni. E se ce lo permettete anche con maggiore determinazione di vincere anche quelle…
Ruggero Canevazzi