Non è una novità che il calcio italiano sia ammalato di provincialismo e di ipocrisia. Lo abbiamo sotto gli occhi ogni domenica quando un giocatore segna alla sua vecchia squadra. Si produce in grandi sforzi per non esultare, quando avrebbe una grande idea una voglia di saltare, urlare, fare piroette. E quando qualcuno, al contrario, fa il suo dovere di calciatore dopo un gol, cioè esultando, è accusato di non essere rispettoso perché bisogna esserlo contro l’avversario, soprattutto se ha indossato la sua maglia.
E’ innegabile che sia un tema poco appassionante, ma per svelare tanta ipocrisia basta prendere come argomento il passaggio all’Inter (che per i tifosi bianconeri è il male assoluto) di Beppe Marotta, apprezzato e vincente manager dalla Juventus (rapporti interrotti bruscamente). Bene, di là dalla singolarità, per i tifosi, di sentire un dirigente che ha fatto grande la Juve dire, il giorno di presentazione, che il suo compito è di far ritornare grande l’Inter, tutto dovrebbe rientrare in una normale dinamica e moderna visione del calcio d’oggi. Sarebbe troppo facile.
E a dare la stura alla polemichetta è stato Pavel Nedved, vicepresidente della Juve, compagno affezionato in tribuna e in abbracci su tutti i campi d’Italia e d’Europa: “Si vede che Beppe non era juventino”. In sovrappiù i siti di tanti giornali hanno consegnato ai tifosi le foto di Marotta che si abbraccia con Zanetti e i nuovi compagni di avventura dopo la sofferta vittoria dell’Inter contro l’Udinese, facendo passare l’immagine come un fatto straordinario.
Nell’ambiente calcio tutti si sciacquano la bocca con la parola professionismo, ma non ne intendono il termine. Un manager professionista non fa altro che inseguire uno scopo, cioè migliorare la produttività dell’azienda per cui lavora e felicitarsi per i successi conseguiti. Punto e basta. Beppe Marotta ha lavorato con dedizione ottenendo successi straordinari alla Juve ed ha voltato pagina. Nessuno si meravigliò, anni fa, quando in tribuna esultò dopo una vittoria contro la Sampdoria, la sua squadra precedente, ma tutti si torcono le budella perché ha esultato in tribuna a San Siro per un golletto dell’Inter. Pura ipocrisia.
Probabilmente Marotta non è mai stato sampdoriano (dopo tanti anni), non lo è stato juventino (come dice Nedved), non lo sarà per sempre, tranne questa parentesi, nerazzurro. E’ soltanto un manager che fa il suo dovere, come lo è il calciatore che fa gol per la propria squadra e che per rispetto dovrebbe esultare lasciando esplodere la propria lecita felicità. Come dire: “Ho fatto gol per voi e sono stato felice, ora faccio gol per i vostri avversari e voglio essere libero di gioire”. Ecco, Beppe Marotta ha tutto il diritto di festeggiare e di lavorare per far dire a Nedved: “Beppe Marotta è interista”.
Sergio Gavardi