“Quando non molli quando sei infortunato… Quando non molli quando sei di nuovo infortunato… Quando non molli quando giochi male… Quando non molli quando le cose non vanno nel verso giusto…Quando non molli quando non riesci a tenere la palla in gioco dopo il tee, per due anni… Quando non molli e stai 8 ore al giorno al driving ranger a fine giornata tiri la palla peggio di quand’hai cominciato la giornata… Quando non molli quando sembra che hai perso il talento ch ti ha portato a essere un buon giocatore… Quando non molli quando sei 3 colpi indietro a 2 buche dalla fine… Quando ASSOLUTAMENTE NON MOLLI ASSOLUTAMENTE MAI, allora succede questo!!!”. Questo è l’eloquentissimo messaggio Instagram di Edoardo Molinari, con tanto di coltello fra i denti, e gli occhi di fuori di chi è davvero deciso a tutto pur di coronare i suoi sogni. Con gli applausi di mastro Denis Pugh a suggellare la rivincita su tutto e tutti del 36enne torinese che ha chiuso la rimonta l’irlandese Paul Dunne imponendosi con un par alla prima buca di spareggio, aggiudicandosi così il torneo di Rabat, il terzo titolo nel circuito, dopo i due nel 2010 (Johnnie Walker Championship e Scottish Open) e rilanciando la carriera dal baratro dove sembrava finita. Perché, per il regolamento European Tour, potrà ora usufruire di due anni di esenzione sul circuito continentale, senza preoccuparsi della posizione nella money list. Dove aggiunge in un botta sola 416.660 euro.
Rispetto al fratello minore Francesco, “Chicco”, dotato di grande concentrazione e sapiente scelta e controllo dei colpi d’approccio, “Dodo” ha sempre posseduto maggior creatività in generale e sensibilità nel putt. Ma da anni non riesce ad esprimere il miglior gioco e, solo la fine dell’ultima stagione, dopo aver passato il taglio soltanto 13 occasioni su 27 tornei, ha dato nuovi segnali di risveglio a Hong Kong. Ritrovando quella fluidità che sembrava davvero smarrita dopo gli sfolgoranti inizi, col successo nello Us Amateur 2005 e poi con le affermazioni sull’European Tour. A novembre 2009, nel Dunlop Phoenix Tournament, del Japan Tour, piegando ai play-off il solido Robert Karlsson, la settimana dopo, in coppia col fratello, superando ancora lo svedese nell’Omega Mission Hills World Cup, e poi l’11 luglio 2010, aggiudicandosi il Barclays Scottish Open e il 29 agosto, sempre in Scozia, vincendo il Johnnie Walker Championship. E guadagnandosi così la storia, indimenticabile, convocazione per il team Europa nella Ryder Cup 2010, vinta insieme a Dodo per un solo punto sugli Stati Uniti.
Che cosa spinge un giocatore di quel livello a scendere dal 14° posto nel World Golf Ranking addirittura al 966? Per chi, con grande forza di volontà e dedizione, è riuscito a laurearsi in ingegneria pur disputando regolarmente anche le gare golfistiche, non valgono come spiegazioni come il polso (operato), l’appagamento, la nascita di due figli e i cronici problemi nel drive. Infatti, ha cercato altre vie, ha investito su se stesso cercando la soluzione tecnica dal super coach Usa, Butch Harmon, non s’è accontentato della facile storiella che circola su lui e il fratello: “Se si facesse un frullato fra Chicco e Dodo ne verrebbe fuori un campione”. Mettendo cioè insieme la concretezza di Francesco, “cash machine” per i caddy, perché va sempre a punti (e quindi all’incasso), e la fantasia di Edoardo. Che, appunto, a Rabat, ha fatto impazzire il pubblico con la sua formidabile rimonta, con la sequenza birdie-eagle sulle ultime due buche – mai registrata nel torneo – con la quale ha agganciato Dunne a 68 colpi (-5), contro un bogey, nelle ultime otto buche, con un gioco di altissimo livello. Alla Dodo Molinari. E per il golf italiano è una gran bella notizia. Perché i campioni che trainano il movimento verso la Ryder Cup al Marco Simone Roma del 2022 ci sono già, e da tempo: dai due Molinari a Manassero, in recupero, al giovane Paratore. Il problema è promuoverli.