Il basket italiano sta celebrando il momento più alto della stagione con la finale scudetto tra Venezia e Trento e proprio questo evento comunque storico, visto che la Reyer non conquista il titolo da 75 anni e i trentini sono approdati in serie A solo tre anni fa, dà il segnale del momento critico della nostra pallacanestro che si è autocostretta a disputare una finale in impianti inadeguati come capienza (Trento) o privi di ogni requisito logico come il Taliercio di Mestre, piccolo, caldissimo, perfino pericoloso per chi gioca e chi assiste alle partite. Era successo nelle ultime due stagioni anche con Reggio Emilia. Ho detto auto-costretti perché la regola che prevedeva una capienza minima di 5000 spettatori è stata tolta dalle società all’inizio del secolo, per evitare che poi dovessero investire e progettare nuovi impianti. Così, mancata la spinta in un momento di espansione economica, arrivata la crisi del 2008, non ci sono stati più soldi per immaginare impianti migliori.
Anche questa è la fotografia della nostra pallacanestro: da anni taglia tutto per risparmiare, soprattutto professionalità all’interno delle società e vivai, per spendere sempre di meno approfittando di un mercato straniero ricchissimo di giocatori a basso prezzo, e bassa qualità, uccidendo il prodotto italiano. E’ un vortice verso il basso dove è chi non investe e non ha progetti che determina la strategia, cioè la mancanza di strategia, del sistema. E va bene a tutti: alle piccole società che hanno sempre meno soldi ma stanno aggrappate alla serie A, alle grandi che possono garantirsi risultati più facilmente e con poco rischio.
Il problema è che questo processo ci ha allontanato sempre di più dai vertici del basket internazionale: non vinciamo una Eurolega dal 2002, una medaglia con la Nazionale dal 2004, con la quale non ci siamo più qualificati a Mondiali o Olimpiadi dal 2006. Ci siamo dovuti accontentare di un paio di successi, dopo aver organizzato le finali in casa, nel 2009 e 2014 nella terza coppa che raccoglieva le squadre di medio livello continentale. La risposta che viene data è sempre la stessa e sa di assoluzione: all’estero hanno più soldi. Vero ma nessuno si chiede perché ce li hanno. Forse perché il prodotto tecnico e spettacolare è migliore? Forse noi non li avremo mai se il nostro prodotto basket è sempre più scadente? Ovvio. Per motivi differenti, anche opposti e non necessariamente da imitare, le finali per il titolo degli altri Paesi che si giocano in contemporanea alla nostra mostrano squadre molto più forti, che giocano in palasport spesso straordinari (la finale spagnola offre una capienza di 24 mila posti, quella greca di oltre 30 mila, la turca ha il Fenerbahce con un impianto da Nba che ha il doppio dei posti di Trento e Venezia assieme…). Non è un caso che il bilancio delle nostre squadre in Europa, a partire da Milano che pure spende come i top club europei escluso i primi 5 o 6, quest’anno sia stato piuttosto disastroso nonostante la partecipazione (amichevole visto il risultato) di Venezia alle Final Four della terza manifestazione. E’ chiaro che i problemi nascono nel nostro campionato e che li esportiamo.
Cosa dobbiamo fare? Se ne parla da più di un decennio ma non si fa nulla. La prima cosa sarebbe dare un segnale di discontinuità, come dicono i politici, rispetto a quello che è accaduto negli ultimi anni e cioè evitare di far finta che vada tutto bene, sperando che in finale vadano squadre e piazze con impianti migliori e che la Milano di Giorgio Armani, la sola con potenzialità europee, ne imbrocchi una a livello internazionale. E’ evidente che bisognerebbe partire dal basso, dal reclutamento, dalle scuole: blablabla… E’ il modo per non agire mai, vista l’enormità della sfida, l’inadeguatezza delle istituzioni e la lunghezza dei tempi. Allora? Cominciamo a tirare una riga dicendo che per partecipare alla serie A ci vuole un impianto moderno e capiente e garanzie economiche più elevate e controllate. Chi non ce la fa, va in A-2 che è pur sempre un bel campionato. Basterebbe solo questo per dare una spinta verso l’alto in controtendenza con quello che ci sta soffocando. Tornare protagonisti in Europa sarebbe una conseguenza.
Luca Chiabotti