“Sei un eroe”. Roger Federer continua ad aggiungere Oscar alla propria carriera: il dio del tennis, non è mai pago, non gli basta di fissare a 8 il nuovo record di trionfi a Wimbledon (uno più di William Renshaw e di Pete Sampras), e di allungare a 19 quello già suo degli Slam, allarga a cinque fenomeni il club dei magnifici (Donald Budge nel 1938, Tony Trabert nel 1955, Chuck McKinley nel 1963 e Bjorn Borg nel 1976) che si sono aggiudicati i Championships senza perdere set. Non solo: a 35 anni 342 giorni, diventa il più anziano vincitore – era Open – del torneo più importante dello sport (il terzo degli Slam, dopo Ken Rosewall che a 36 anni vinse gli Australian Open 1971 e a 37 quelli del 1972), e stabilisce il nuovo record assoluto rivincendo Wimbledon a 14 anni dalla prima volta, nel lontano 2003. Quindi, al microfono in campo, mentre la folla sul Centre Court come nel mondo intero, forse lo definirebbe proprio l’eroe di un tennis e di uno sport che non c’è più, con la sua “noble art”, Roger ringrazia Marin Cilic per non avergli rovinato la festa, dopo il crollo di nervi sul 3-6 0-3, che poteva portarlo a un clamoroso ritiro.
Quel “Sei un eroe” è l’ennesimo Oscar di un campione unico, nella pulizia, nella completezza e nell’eleganza dei colpi in campo e del comportamento sempre impeccabile fuori. Un campione, che, da junior, si vedeva sfuggire gli avversari perché inscenavano improvvise fughe alla toilette o perché urlavano dal dolore per infortuni spesso recuperabili. Gli poteva succedere ancora, anche stavolta. Perché, dopo essersi vista sfuggire la prima ed unica palla break del match, sul 2-1 lui, 30-40 Federer, dopo 17 minuti, il gigante croato s’è ritrovato all’improvviso totalmente smontato dall’imbastitura tecno-mentale che gli aveva creato coach Jonas Bjorkman in due settimane perfette sull’erba di Wimbledon. Svuotato dal servizio, impossibilitato ad aprirsi il campo con le spallate da fondo, svilito dl fioretto di Roger, Cilic ha sentito all’improvviso male dappertutto, come succede a noi comuni mortali quando le cose ci vanno proprio male e vorremmo solo scappare a casa e nasconderci sotto le coperte, ha chiamato time-out medico per “delle bruttissime vesciche”, s’è nascosto la testa sotto l’asciugamani e ha pianto le sue lacrime di frustrazione e rabbia. Per poi sforzarsi a tornare in campo e perdere con dignità. “Non potevo dare il massimo, che rabbia!”.
Cilic non era infortunato fisicamente, era vinto mentalmente, emotivamente. Sapeva che il resto del match sarebbe stato una formalità, una inutile attesa di un’oretta, solo un preludio dell’ineluttabile 6-1 6-4 ufficiale, dopo un’ora 41 minuti. Perciò Roger gli ha riconosciuto gli onori dello sconfitto, dopo averlo schiantato dodici mesi fa, sempre nel Tempio, rimontandolo da due set a zero sotto e salvando anche tre match-point, per vendicare lo sgambetto degli Us Open 2014. L’unico subito da Federer da parte del ragazzo di Medjugorje in otto sfide.
Dal rientro alle gare dopo sei mesi di stop per guarire il ginocchio operato e ritrovare se stesso, Federer, dopo aver volato Australian Open, Indian Wells, Miami, a quasi 36 anni, si ripete anche a Wimbledon, dove non faceva festa dal 2012, ingoiando bocconi amari nelle finali contro Djokovic del 2014 e del 2015, e nella semifinale contro Raonic del 2016. “Dopo l’anno scorso, non sapevo se sarei tornato a giocare sul Centre Court”, racconta adesso, sconvolto anche lui dalle emozioni, davanti alla doppia copia di gemelli che lo guardano dalla tribuna: “I ragazzi ancora non capiscono che cosa sta succedendo”. Gli altri ragazzi, i tanti – “sempre più alti e grandi”, come scherza lui – che gli si inchinano davanti sui campi di tennis, dovrebbero meditare sul grande vecchio che 19 anni fa vinceva il titolo juniores a Wimbledon e ora vince lo Slam numero 19. Lui è fortissimo, unico, inimitabile, incredibile anche nella capacità di migliorarsi e motivarsi continuamente, per essere sempre moderno, ma gli altri dove sono? Chissà se agli Us Open dal 28 agosto ci sarà la reazione almeno del rivale classico, Rafa Nadal, chissà se gli acciacchi fisici e morali avranno abbandonato i protagonisti degli ultimi due-tre anni, Djokovic e Murray. Comunque sia, lo sport applaude l’ennesimo miracolo di uno dei suoi campioni immortali. E lo attende per nuovi trionfi: ul favorito degli Us Open di fine agosto chi voi che sia se non lui?
Vincenzo Martucci