Abbiamo già visto altri passaggi di consegna a Wimbledon. Questo fra Djokovic ed Alcaraz non è solo generazionale, con il nuovo campione che rimane di diritto sul trono della classifica mondiale usurpando il vecchio anche da quello dei Championships. Questo è ub trapasso anche di stile, di gioco, di immagine. Perché il 20enne spagnolo non è soltanto più giovane di 16 anni del 36enne serbo, ma gioca un tennis molto più propositivo e vario, meno difensivo e utilitaristico.
Carlitos è anche un campione col sorriso, di chi è felice di esserci, non di quelli che si cibano di rabbia e frustrazione, e magari invidiano i rivali perché sono più amati. Come Djokovic con Federer e Nadal.
Carlitos è un campione che non ha paura di provare colpi spettacolari, pur nei momenti più delicati del match, un campione che spazia a tutto campo e ha tutti i colpi, un campione non ancorato a una superficie. Ma che, come ha confermato con l’erba, impara molto in fretta nel segno di quell’umiltà che ha imparato guardando il mitico Rafa Nadal ed ascoltando il maestro Juan Carlos Ferrero, ex numero 1 e campione Slam.
Alcaraz è talmente un successore legittimo che lo stesso Nole il terribile s’inchina a lui (“Ha praticamente il meglio di tutti e tre i “mondi”: Roger, Rafa e me stesso”) e al destino, riconoscendo che altre volte avrebbe dovuto perdere e aveva vinto “come nella finale 2019 contro Federer quando ho salvato 2 match point”.
Attenzione, non è un caso: Carlos è il primo tennista nato dopo Djokovic ad aggiudicarsi Wimbledon, le ultime 19 edizioni erano andate ai Fab Four, Federer, Nadal, Djokovic e Murray. Non è un caso: ha resistito a una finale piena di problemi e di insidie come in tante altre sfide leggendarie Slam dei soliti 4, ha regalato colpi spettacolari, ha tenuto di testa contro master-mind Novak. Ed è adorato sia dal pubblico e dagli avversari. Quale miglior manifesto per il tennis, quale miglior esempio per i rivali diretti Sinner, Rune e Musetti?
(foto tratta da sport.sky.it)