Piove sul bagnato. Non fai in tempo a chiederti dov’è finito Kei Nishikori, che arriva la notizia della sua ultimadisavventura: s’è ammalato di Corona Virus, e dovrà fermarsi ancora.
Dov’era finito il giocatore clonato in laboratorio a immagine di Novak Djokovic per interpretare i canoni del giocatore moderno, muro difensivo da fondocampo, con ottime gambe, senza colpi deboli, che si esalta sul cemento all’aperto ma è bravo su tutte le superfici?
Mentre il grande tennis torna protagonista si sente parlare di tutti, super-star, giovani rampanti, ex grandi promesse, infortunati recidivi, ma che fine ha fatto il pioniere del tennis giapponese, primo del Sol Levante fra i top 5 della classifica mondiale (numero 4 nel marzo 2015), il primo asiatico finalista di uno Slam (Us Open 2014), il campione di 12 tornei pro, con oltre 23 milioni di dollari di soli premi ufficiali più almeno il doppio di sponsorizzazioni, il prototipo di un gigantesco progetto per cancellare i pregiudizi fisici su un’intera zona geografica?
A 31 anni, il nipponico allevato alla scuola Usa del “corri e tira” di Nick Bollettieri a Bradenton, in Florida, era finito ancora una volta in bacino di carenaggio per infortunio, stavolta al gomito, per il quale si è sottoposto a un intervento chirurgico. L’ha fatto dopo gli Us Open 2019 che ha salutato al terzo turno, arrendendosi ad Alex de Minaur. Ha semplicemente gettato la spugna: stringendo i denti aveva raggiunto i quarti al Roland Garros e a Wimbledon, perdendo solo contro Nadal e Federer, ma poi le sconfitte d’acchito di Montreal e Cincinnati l’hanno convinto a fermarsi per curarsi e preparare al meglio l’ultimo rilancio. Fissato ad aprile e rimandato dal Corona Virus.
La ripresa è stata delicata, per il fisico, per la tecnica, ma soprattutto per la testa: “Quando ho ripreso in mano la racchetta, tanto tempo dopo l’intervento, ero davvero molto spaventato. Mi sono persino chiesto: “Come si tiene in mano?”. Subito, però, è ritornata la passione, la voglia di tornare a misurarsi con gli altri e con se stesso: “Sono diventato smanioso di giocare partite”.
Di più: dopo il forzato stop, il soldatino sul quale tanti, troppi, hanno fondato le rivincite di un popolo che si sentiva inferiore atleticamente per competere nel tennis con il resto del mondo, si è sentito per la prima volta felice: “Oggi non ho più pressioni, voglio divertirmi a stare lì in campo e giocare con gioia, senza più aspettarmi, e pretendere, di essere perfetto”.
Sponsor, media, opinione pubblica, parenti, amici, Kei ha sempre somatizzato la responsabilità del suo ruolo di ambasciatore: non solo è sempre apparso estremamente serioso ma ha anteposto gli impegni anche ai problemi fisici. Che pure lo assillano da sempre: “Ho giocato, sopportando il dolore ma più giocavo più stavo peggio. Tanto che non riuscivo a concentrarmi sul gioco, il dolore occupava più i miei pensieri di quello che era successo nel punto precedente. Non potevo continuare a quel modo, sono stato costretto a fermarmi”.
La pandemia ha allungato i tempi di recupero, ma ha anche consentito a Nishikori di ripensare alla cosa tecnica. Così da aggiungere al team Max Mirnyi, ex n.1 del mondo in doppio, che ha appena lasciato l’attività pro, accanto al coach storico Dante Bottini e al super-coach Michael Chang: “Sto cambiando stile, sto facendo subito un passo dentro il campo per essere decisamente più offensivo, senza aspettare la prima possibilità per spingere e cercare il punto”.
Il cambiamento nasce dalla necessità: “E’ evidente che i giovani forti stanno proprio arrivando in alto e questo mi motiva anche a darci dentro con tutto me stesso per tornare competitivo”.
Povero Kei. Non fai in tempo a dirgli bentornato che, dalla Florida, dove risiede, gli cade un’altra tegola sulla testa: s’è ammalato di Covid-19. Il suo calvario continua.
*foto ripresa da canberratimes.com.au