Il 17 settembre 2000 non è stato un giorno qualsiasi per chi nuota e per chi segue il nuoto. È il giorno nel quale per la prima volta nella storia un italiano salì sul gradino più alto del podio in un’Olimpiade
Io c’ero quel giorno, all’Acquatic Centre che doveva essere il tempio del “tonno” (copyright del nickname Max Rosolino) Ian Thorpe. Per il colosso australiano di Milperra, un sobborgo di Sydney, andò bene ma non benissimo, per l’Italia del nuoto fu l’edizione delle fragole. Fino a Sydney 2000 avevano conquistato sette medaglie: Novella Calligaris 3 (1972), Stefano Battisteli 2 (1988/1992) Luca Sacchi 1 (1992), Emanuele Merisi 1 (1996). Tutti bronzi, tranne l’argento di Novellina nei 400 stile libero a Monaco. Sette medaglie in 100 anni di olimpismo. A Sydney ne acchiappammo sei, di cui tre d’oro, tutte insieme. E il caustico commento di Luca Sacchi, passato dal nuoto al commento per la Rai, dice quello che significarono quei giorni: “Sono arrivato qui come uno dei grandi del nuoto, me ne vado come un Rummolo qualsiasi”. Rummolo fu il sorprendente terzo nei 200 rana, la medaglia “in più”, inaspettata, ma il suo bronzo passò in secondo piano. Ci montammo la testa in fretta.
Il primo oro della storia del nuoto azzurro nella storia delle Olimpiadi lo vinse un dinoccolato ventitreenne di Trecate, Novara, Domenico Fioravanti, gran pescatore di sgombri dello Ionio, durante le vacanze estive, quando andava a trovare i parenti, gran accalappiatore di donne, prima di mettere la testa a posto con Roberta e avere Diletta, tre anni.
“Sono passati vent’anni, ma non sembrano vent’anni. Ormai i giornalisti mi chiamano per gli anniversari, ma io anche ai tempi non facevo notizia”. Eh no, però, nel chiuso dei ritiri azzurri faceva delle imitazioni fantastiche. Si era stabilito a Verona per seguire la sua guida tecnica, il compianto Alberto Castagnetti. “Anche noi facevano le marachelle, non eravamo dei santi”. È vero ma non c’era il voyeurismo social attuale, e giornali e tv raccontavano le imprese sportive. Il gossip veniva dopo l’impresa sportiva. “Non sembrano vent’anni, anche se inizio a sentirli, il pensiero è rivolto a quei momenti, a quei giorni fantastici. Ho bellissimi ricordi di squadra, tutti andavano bene, noi, io e Max, un paio di gradini in più. C’era una splendida atmosfera e tutto ha un grande spazio nel mio cuore, è bello che ancora si ricordino, fa piacere ci sia interesse per quello che facemmo”. Sei medaglie: Rosolino argento nei 400 stile libero, bronzo nei 200 sl, oro nei 200 misti; Domenico storico doppio oro nei 100 e 200 rana; Davide Rummolo, l’underdog, bronzo nei 200 rana.
Su tutti, ma su “Fiore” in particolare, vigilava Alberto Castagnetti. “Sai che era un anti-conformista, non era il padre coccolone, ti dava molto spazio, era al passo con i tempi, ma con una visione. Capiva le esigenze dei ragazzi. Io ho solo bei ricordi anche se abbiamo avuto le nostre vicissitudini, perché ero un rompicoglioni. Lui era tranquillo, quei giorni, mi ha sempre rassicurato. Abbiamo lavorato molto, sull’impostazione della gara, era già tutto programmato. A quel punto dipendeva solo da me”. Prima dell’Olimpiade la squadra passa un mese a Melbourne e le proiezioni di gara sono straordinarie. “Gli allenatori ci guardavano increduli, la mia gara erano i 100 rana, sui 200 Alberto era meno maniacale, ma mi diceva che ero un ranista da 2 e 7. Nel 2000. Adesso fanno 2 e 8”.
Testo tratto da ilfoglio.it