“Io mi do con tutto me stesso, gioco d’istinto: è la mia migliore qualità”. Uno che parla così si fa amare da subito. Semplice, diretto, appassionato, sincero, per bene, è l’amico che tutti vorremmo, quello che risponde sempre, quello che non giudica ma aiuta. In un ambiente estremamente competitivo per natura come il tennis, uno sport individualista per definizione – e necessità – spicca al punto tale che tutti i guerrieri dell’ATP Tour gli aprono istintivamente il sorriso, cercano con lui quel rapporto sano tante complicato con tutti gli altri colleghi. E’ talmente positivo che, per lui, per le sue battaglie, il gruppo azzurro di Davis si esalta, schizza come una molla tutto insieme – come un sol uomo, si sarebbe detto nei romanzi d’appendice -, per per partecipare, abbracciati, alle sue emozioni così fresche e cristalline da risultare irresistibili. Come ben sanno gli amici più intimi che soffrono con lui palla dietro palla a Bologna nel match contro Jarry: il compagno di difficoltà e di lenta scalata professionale, Andrea Vavassori, e quello di difficoltà fisiche continue, Matteo Berrettini, che s’è presentato – convalescente – al capezzale dell’Italia gravemente ferita dal 3-0 contro il Canada. Per far sentire la sua presenza di leader del Rinascimento italiano ma soprattutto di affinità dell’anima col dolce “Sonny”.
PERBENE
Ecco, proprio perbene, dolce, sincero sono le parole chiave del ragazzo di Torino che si esalta nel difficolta e si blocca nel “facile”. Come dice il curriculum di Davis e di tornei con prestazioni clamorosamente valide e addirittura impressionanti contro i più forti, nelle condizioni disperate, su ribalte complicate, cui fanno da contraltare altrettanti clamorosi cali di tensione e quindi sconfitte che fanno diventare famosi almeno per un giorno carneade dai nomi più complicati. Gli manca il cazzotto del ko, gli manca peso alla palla, gli manca un bel po’ di rovescio, gli manca… A guardar bene gli manca parecchio, tecnicamente, eppure, tutti i limiti spariscono d’incanto quando Lorenzo si trasforma come un eroe dei fumetti nel “Polpo” che arriva su tutte le palle, quando corre di qua e di là senza freno e, dopo estenuanti scambi, tira a più non posso liberando in parallelo i suoi sospiri di liberazione. Perché in quei momenti magici il torinese più che caldo, è incandescente, “on fire” come dicono gli americani, è “posseduto”, come lo definisce alla tv Stefano Pescosolido, un altro ragazzo buono armato di racchetta del nostro tennis che – ahilui – posseduto non è stato mai, a dispetto di potenzialità superiori a quelle del torinese. Anche perché non aveva i piedi magici si Sonny, allevato da bambino da mastro Ciliegia, pardon, Gipo Arbino, non solo alla tecnica, ma alla triade “grinta, cuore e volontà”. Sempre riconoscente, educato e rispettoso, sempre diligente a scuola calcio – era un speranza, ma ha preferito uno sport di squadra -, sempre attento agli esempi positivi che ha attorno, sempre generoso e contento, la sua grande forza è stata quella di non avere fretta, di crescere senza pressioni e velleità, senza guardare ai coetanei, professando umiltà e culto del lavoro. Costruendosi pezzo dietro pezzo, dal fisico alla nutrizione, senza badare alla classifiche che, a 21 anni lo vedevano ancora fuori dai primi 300 del mondo, e due anni fa al 21, mentre oggi è 38.
TORINISTA
Col suo spirito battagliero, da classico tifoso del Torino calcio, unita alla solidità dei principi familiari e del coach, Lorenzo ha cominciato a vincere a livello Challenger solo nel 2016, scalando poi pian pianino da onesta formichina i gradini del paradiso ATP. Nessuno, ma proprio nessuno, si sarebbe immaginato che con quel servizio costruito, come la volée, sul dritto naturale e i piedi alati, Sonny potesse firmare sull’erba il primo torneo del circuito più importante, eppure ce l’ha fatta ad Antalya, in Turchia, nel 2019. Nessuno pensava potesse reggere contro la cicala Taylor Fritz al Roland Garros 2020, che domò 19-17 nel più lungo tie-break al terzo set. Nessuno immaginava che da lucky loser potesse dominare il numero 1, l’immenso Novak Djokovic, per 6-2 6-1 indoor a Vienna, infliggendogli la terza sconfitta appena della stagione, per poi arrendersi in finale a Rublev.
Alzi la mano poi chi avrebbe mai pensato che avrebbe fatto la doppietta singolare e doppio al Sardegna Open del 2021 e che sarebbe diventato proprio lui a riportare una semifinalista italiano a Roma. In quell’edizione surreale, con il pubblico già contingentato che svuotava le tribune per il coprifuoco Covid, Sonny fece molto di più: si esaltò domando Thiem in una maratona di 3 ore, sorprese bum buy Rublev, firmando il terzo urrà contro un top 10, per poi arrendersi al solito Djokovic, strappandogli comunque una set e una miriade di applausi al pubblico tennistico, stoppato davanti alla tv, bisognoso di scintille di entusiasmo. Ecco, lì, quei giorni cupi che lui rese scintillanti, ballando e cantando col suo clan in tribuna trasmettendo quella gioia che era sopita un po’ in tutto il mondo, sono magicamente riapparsi ieri a Bologna. Ancora nel nome dell’Italia. Ancora abbagliando dopo la via crucis di un tunnel buio e pauroso.
MIRACOLO
Come poteva opporsi Nicolas Jarry il monocorde, anchilosato nel suo compassato servizio-dritto? Come poteva bloccare quel fiume in piena di italiano – un italiano vero, coi colori e le espressioni classiche dei nostri ragazzi -, quella forza della natura, quel giocatore “posseduto”, elettrico come avesse preso una scarica di corrente da un filo scoperto dopo aver perso malamente l’ennesima partita “facile” contro l’ennesimo signor-nessuno? Dopo la batosta col Canada, Sonny era disperato, era deciso a morire sul campo, non una, ma due volte, prima con la rimonta del singolare e poi anche con quella, del doppio. Armato di una forza interiore che non ha spiegazioni, o c’è o non c’è, una leva che non conosce match point contro (addirittura 4 da salvare al cileno), un asso nella manica che si nutre di umanità e sentimenti. Nel nome della sana e sincera amicizia: una parola imbattibile che quasi non pronunci per quanto è difficile e delicata, la parola magica di Lorenzo Sonego. (pubblicato da Supertennis.tv)
Foto di Marta Magni, nostra inviata a Bologna