Golden State favorita a mani basse, Cleveland del re LeBron James, alla sua 15 stagione, la squadra che in giugno cercherà di fermare i campioni in carica. L’avete sicuramente già sentita: il leit motiv degli ultimi tre anni, bilancio 2-1 per i Warriors, si ripresenta senza grandi novità alla partenza della stagione Nba, anticipata ad ottobre per rendere meno pesante un calendario da 82 gare, evitare le micidiali serie di partite consecutive (anche quattro in 5 giorni) ridurre della metà le situazioni in cui una squadra sarà costretta a giocare 5 volte in una settimana. Più riposo per i giocatori, più spettacolo, meno fregature per i tifosi spesso privati della gioia attesa una intera stagione di vedere dal vivo LeBron o Curry, con relativa spesa, per poi sapere all’ultimo momento che le grandi stelle non giocheranno, per riposarsi.
Se parliamo di lotta per il titolo, si fa fatica ad andare molto più in la di una sfida ormai epocale tra Warriors e Cavs, anche se Cleveland ha perso la sua seconda punta, Kyrie Irving, e dovrà aspettare fino a gennaio per poter vedere al fianco di LeBron il genio e il carattere straordinario del piccolo grande uomo, Isaiah Thomas, arrivato da Boston. Fino a quel punto, King James dovrà cavarsela con due straordinari giocatori giunti alla fine della loro carriera, Dwayne Wade e Derrick Rose, presi con gli spiccioli rimasti (4.5 milioni per tutti e due), uno dei tanti anacronismi della Nba di oggi. Attorno, al termine di un mercato con colpi addirittura sensazionali, ci sono squadre che potrebbero lottare con le finaliste delle ultime stagioni: gli Houston Rockets alimentati da Chris Paul al fianco di James Harden per una versione ancora più estrema del basket di Mike D’Antoni, i Boston Celtics che hanno investito 30 milioni su Gordon Hayward e preso Irving da Cleveland e che possono contare, più degli avversari, di un sistema di gioco collettivo per farli competere al massimo livello. Onestamente mi fermerei qui. Il resto sono soltanto previsioni di possibili miglioramenti di squadre che, nel recente passato, non ne hanno fatti.
Il vero punto di svolta della Nba di quest’anno è l’affermazione sempre più forte del concetto di superteam. I nuovi contratti collettivi, magari con l’aiutino di chi, come Kevin Durant accetta qualche milione in meno per permettere ai Warriors di confermare in toto la squadra campione, hanno dato la possibilità di sommare contrattoni nella stessa squadra, spesso scelta dai giocatori e dalle loro amicizie. Ma molte squadre, pensate a Clippers, Indiana, Utah prive di Chris Paul, Paul George, Gordon Hayward, hanno perso terreno. La Nba di oggi ha pochissime squadre fortissime, una media decente che, però, non copre neppure i posti playoff, e una miriade di squadre senza un capo e una coda. Non credo che sia una cosa positiva per la lega e il basket: con tutto il male che qualcuno può pensare di Carmelo Anthony, chi sano di mente può voler spendere (molti) soldi per vedere i Knicks di quest’anno o i Lakers al netto della fenomenologia di Lonzo Ball? Che squadre sono Atlanta, di Marco Belinelli, Charlotte, Orlando, Chicago, Brooklyn a Est o Phoenix, Sacramento, Dallas o la stessa Memphis, in calo costante, a Ovest?
Per smuovere un po’ le acque bisognerà che l’ultimo superteam costruito, Oklahoma City che all’Mvp dell’anno scorso, Russell Westbrook, ha sommato George e Anthony, capisca presto come far convivere le tre stelle e che i San Antonio Spurs, al solito, al termine di una stagione che inizierà senza Tony Parker e Kawhi Leonard, ritrovi compattezza nei playoff. Molto interessante, a Ovest, potrebbe essere Minnesota ma lo diciamo da almeno due anni: con Karl-Anthony Towns e Andrew Wiggins il limite è il cielo, con veterani come Teague, Butler, Gibson potrà avere una consistenza mai vista. Ma restano i condizionali.
A Est, deve essere l’anno di Washington e dei grandi miglioramenti mostrati nella seconda parte della scorsa stagione da Miami. Poi le solite: Toronto, Milwaukee, contendenti lontane però dalla zona calda per il titolo. Sarà una stagione divertente, ma sempre più concentrata su pochissime squadre salvo dei blitz sui campi secondari per potere ammirare l’incredibile talento che giocatori giovanissimi stanno portando nella Lega, anche se in squadre non particolarmente competitive. Danilo Gallinari ha grandi speranze per i suoi Clippers ma francamente è difficile immaginarli oltre una solida lotta per una discreta posizione nei playoff, addirittura sotto la sua ex squadra, i Nuggets. Marco Belinelli fa un passo indietro ma forse giocherà di più: lui, almeno, il titolo lo ha già vinto e può permettersi di prendere tutto il bello che la Nba, anche di bassa classifica, può regalargli.
Luca Chiabotti